Chiusa ormai la stagione, portata a termine con la promozione in Serie A del Genoa, abbiamo avuto modo di passare qualche minuto assieme a mister Alberto Gilardino, proprio là dove la sua cavalcata verso la massima categoria ha impresso l’accelerata decisiva: lo stadio Ferraris.

In questo momento al calcio italiano mancano tanti talenti e molto probabilmente l’allenatore della Nazionale chiederà un aiuto anche a te, particolare, perché tu e Caridi avete seguito la Serie B e qualche giocatore che potrebbe fare il salto potrebbe esserci…

“Per quanto riguarda i talenti in Italia, ce ne sono. Normale che si debba aspettarli, avere pazienza e allenarli in un certo modo. Poi ci devono sicuramente essere spregiudicatezza, volontà e fiducia da parte di noi tecnici – come in parte ho fatto io in questa stagione da quando sono arrivato in prima squadra – di farli esordire e giocare, inserendoli in un contesto di prima squadra. Chiaramente devono avere delle capacità a livello tecnico-tattico, ma anche umano. Il talento, comunque, va allenato, va costruito e va aspettato”.

Il successo in questo campionato deriva dal fatto di aver governato la moltitudine e non aver governato pochi uomini?

“Sono stati mesi di arricchimento da parte mia. Arricchimento che deriva dal fatto di aver potuto vivere questo tipo di spogliatoio, di esperienza. Nella squadra ho avuto un giusto mix di giocatori di grande esperienza e altri ragazzi della Primavera, che si sono venuti ad allenare spesso in settimana e  hanno avuto anche la possibilità di esordire. C’è stata la volontà da parte mia e dello staff di coinvolgere tutti in questo unico obiettivo cercando di creare una identità di squadra”. 

Ci racconti il tuo staff

“Siamo in tantissimi. C’è il mio secondo Caridi, c’è Murgita, c’è Tonda (Eckert, ndr), c’è Vecchi, ci sono Scarpi e Raggio Garibaldi. E ancora Gaspare Picone, Filippo Gatti e il grande Alessandro Pilati, che credo sia alla sua ventesima stagione col Genoa. Questo per quanto riguarda l’aspetto tecnico e della performance. Poi ci sono tutti quelli che hanno contribuito a questo grande traguardo, dai fisioterapisti allo staff medico passando per magazzinieri, team manager, addetti stampa e tutti coloro che lavorano al “Pio” ogni settimana e quotidianamente per contribuire a far sì che la squadra giochi bene al sabato o la domenica quando ci sono legare”.

Seguendoti, il pressing e il calcio totale di adesso non devono prevalere sulla tecnica…

“Credo che sia fondamentale e determinante capire, quando arrivi in un posto, il materiale umano che hai a disposizione. Fare l’allenatore non vuol dire inventarsi delle cose, ma lavorare su quello che si ha, cercando di costruire qualcosa con quello che si ha. Costruire situazioni tattiche, tecniche, migliorare i giocatori. Ma la base di tutto è la squadra, sono i giocatori: il materiale umano che uno ha può esaltarlo ai massimi livelli sfruttando le caratteristiche dei giocatori. Ho avuto la fortuna di avere dei giocatori pensanti all’interno del campo, che si sono presi grosse responsabilità, con un giusto mix di giocatori, anche stranieri, che hanno messo intensità e hanno fatto la differenza”. 

Oltre essere un maestro di tattica in corso di partita, ho l’impressone che tu prepari molto le partite su pregi e difetti degli avversari

“Sì, lavoriamo preparando le gare e facendo riunioni. Quest’anno assieme a Caridi, Murgita, Eckert, Vecchi, Raggio Garibaldi e Scarpi abbiamo fatto riunioni per analizzare le nostre partite e le cose fatte bene e quelle dove andare a migliorare, ma anche per analizzare  le squadre avversarie. Lo abbiamo fatto accuratamente, per creare e trasmettere alla squadra le situazioni dove fare loro male, dove poter creare i presupposti per andare a fare male, studiare le qualità delle squadre avversari che andavamo ad affrontare e come difendere relativamente al lavoro che andavamo a svolgere in campo, sia a livello tecnico che tattico”.

Nello spogliatoio tutti contenti perché hai fatto lavorare tutti alla stessa maniera. Non veniva fatta differenza tra chi giocasse di più e chi meno?

“L’allenatore è importantissimo e fondamentale nella gestione del gruppo e nel fare sentire tutti importanti, ma deve avere una squadra intelligente, che sappia gestire questi momenti. Ci sono tanti giocatori che con me hanno fatto davvero pochi minuti, ma all’interno della settimana ci sono stati momenti in cui ho cercato di coinvolgerli e farli sentire importanti. Sono stato calciatore anch’io e mi è capitato di rimanere fuori, quindi so cosa passi nella testa di un giocatore e cosa possa pensare. Ho cercato nel limite del possibile di coinvolgere tutti e farli sentire importanti e questa è stata la prima cosa. Loro mi hanno dato una grande risposta nella quotidianità, negli allenamenti, perché anche chi giocava meno ha sempre dato il massimo ed è stato fondamentale per permettere di fare bene agli undici che andavano in campo”.

Gasperini è stato uno dei suoi tecnici e diceva che utilizzava la difesa a tre per avere superiorità in una parte del campo. Anche per te è così?

Mi piace molto. Poi il calcio è in evoluzione, bisogna essere pronti a identificare un tuo modulo di base per poi cambiarlo anche durante la stagione e a partita in corso perché ormai le squadre ti studiano, ti guardano, e più riesci a cambiare, più sei imprevedibile”. 

Tu sei stato un grande centravanti, un grande attaccante da Serie A. Come dev’essere il tuo attaccante ideale?

“Se parliamo di prima punta, mi piace una punta fisica e strutturata. C’è stato un periodo, che era una moda, in cui anche Barcellona o Manchester City hanno giocato con un falso nueve che uscisse e legasse il gioco. Vuoi perché non lo avevano in squadra, vuoi per una volontà tecnica dell’allenatore, vuoi perché c’è stato un cambio generazionale, il calcio è arrivato a giocare senza punta fisica. Il calcio però è ciclico, si tornerà a giocare con la punta fisica. Anzi, ci è già tornati: basta vedere il Manchester City con Haaland. La prima punta fisica, che sa tenere palla e legare il gioco coi compagni, facendo anche un grande lavoro in fase difensiva, nell’economia della squadra è il calciatore che la fa giocare bene”. 

Per i calciatori stranieri qual è la difficoltà ad inserirsi subito?

“Cultura, modo di pensare, il cambiamento del modo di lavorare e la lingua. E devo dire, in questo senso, che i ragazzi italiani hanno avuto un grande pregio quest’anno perché loro sono stati determinanti. Li hanno fatti sentire come a casa loro, dentro il gruppo. Noi abbiamo tanti giocatori stranieri, perciò è stato determinante”.

I giocatori devono adattarsi al modulo dell’allenatore oppure hanno la libertà di interpretare la partita?

“Normalmente l’allenatore deve dare loro concetti e principi, deve allenare queste situazioni. Quando però hai giocatori pensanti e di una certa qualità, come ho avuto la fortuna di avere, puoi lasciare loro in alcune zone di campo libertà di pensiero e giocate”. 

Prima l’uomo o il calciatore?

“Per me sono due cose che vanno di pari passo. L’uomo diventa determinante, la figura e la sua attitudine all’interno del gruppo e del campo di gioco, negli allenamenti e giorno per giorno. Poi sicuramente c’è il calciatore, ma prima c’è l’uomo”. 

Il calciatore per esprimersi al meglio ha bisogno di lavaggi del cervello?

“Per esprimersi al meglio bisogna stimolarli, allenarli al sacrificio, alla sofferenza negli allenamenti. Se ti alleni con questi standard, alla domenica fatichi meno”. 

Sacchi diceva che moduli a tattica sono più importanti dei giocatori, ma in squadra aveva Van Basten, 

“L’allenatore deve sicuramente incidere nelle situazioni tattiche e tecniche. Se però hai giocatori forti, ti fanno comunque la differenza in campo”.

Quale potrebbe essere ora la differenza da affrontare nel prossimo campionato di Serie A per chi arriva dalla Serie B?

“Penso che dovremo farci trovare pronti a questa nuova esperienza. Il campionato di Serie A dice, anche a livello numerico, che ci sono fisicità, qualità tecnica nei passaggi, grande velocità, grandi attacchi della profondità e grande forza. Lo abbiamo visto e toccato con mano quest’anno quando siamo andati a giocare a Roma in Coppa Italia, facendo una buona partita. I giallorossi hanno battuto tanti calci d’angolo e quando in settimana preparavamo i piazzati avevamo visto che, quando andavano a battere i corner, sia chi andava a calciare sia chi andava a saltare erano giocatori strutturati e fisici. Sotto questo punto di vista dovremo farci trovare pronti”. 

Adesso andrete in vacanza tu e Caridi, ma continuerete a studiare le squadre che prenderanno parte al prossimo campionato di Serie A. Studierete anche qualche idea innovativa?

“Con Caridi ho un grandissimo rapporto, lui è stato particolarmente importante perché mi ha dato una grande mano e trasmesso sempre positività e fiducia. Lavoriamo insieme da sei anni, ci sono grande rispetto e fiducia. Ci sarà da lavorare tanto e forte, molto da studiare, ma con la stessa passione che abbiamo sempre avuto”. 

La tua felicità per avere portato, nelle ultime partite, 90mila persone al Ferraris

Mi vengono i brividi. Solo a pensarci mi viene il magone che domani (venerdì 19 maggio scorso, ndr) finisca il campionato, finisca una calvacata incredibile. Pensare al 6 maggio oppure a domani sera (venerdì 19 maggio scorso, ndr) è qualcosa di incredibile. Un plauso va a ragazzi e squadra, allo staff tecnico, a me, a tutti quelli che hanno contribuito a tale traguardo dietro le quinte. Rimaniamo nella storia del Genoa, quello sì, e nei cuori dei nostri tifosi”. 


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