CORRADI E PONTI, DUE GENOANI GUIDANO LA RAPPRESENTATIVA DILETTANTI

Collegati attraverso Zoom, una delle applicazioni che ci hanno riavvicinato nonostante la quarantena, Mario Ponti e Alberto Corradi, che lavorano già fianco a fianco nella Rappresentativa ligure Dilettanti come vice e allenatore, hanno confezionato una lunga intervista sul mondo del calcio, su una possibile ripresa e su ciò che ci attende per il futuro.

Mister, secondo te si riprenderà a giocare in Serie A? In che modo si può riprendere?

“Intanto grazie per l’intervista. Utilizziamo mezzi tecnologici che tutti stiamo imparando ad usare. Sinceramente non lo so: sono lontano dai professionisti. Ho sentito qualcuno, voci diverse. Credo che faranno il possibile per aprire, ma sinceramente ho sempre pensato e detto in questi giorni che viene prima la salute. È necessario mettere davanti qualsiasi forma di sicurezza nel riuscire a fare l’attività sportiva. Detto questo, il calcio è una parte importantissima della popolazione italiana e credo che in questo momento possa dare anche sostegno e aiuto. E se si riuscisse a ripartire in sicurezza, almeno per la Serie A e per i professionisti – laddove si riuscisse ad organizzare – sarebbe bello per tutti. Auspico che a breve questo possa succedere”.

Dopo tre mesi di stop cosa potrà succedere? Come potrà essere gestita questa crisi?

“Parlavo di questa cosa giusto qualche settimana fa con Paolo Barbero (già presidente AIPAC e sino all’anno scorso preparatore del Genoa, ndr) essendo un preparatore atletico di una squadra professionistica (Hellas Verona, ndr). Si affronta navigando a vista: è la prima volta che accade nel calcio una cosa del genere. Neanche nel periodo estivo i calciatori rimangono così tanto senza fare attività. Questo è il punto su cui, soprattutto preparatori atletici e allenatori, dovranno organizzarsi capendo quanto tempo ci vorrà. Le poche settimane che hanno previsto di preparazione atletica con distanziamento, per poi arrivare a ripartire a fine maggio, sicuramente non bastano per arrivare al top di condizione atletica. Soprattutto doversi allenare, nelle prime settimane, con un distanziamento dà la possibilità di alzare la condizione atletica ma non di arrivare allo stato ottimale. Le partite con i relativi scontri fisici sono fondamentai nel calcio per raggiugnere il top della forma. Questo vale per tutti, è democratico questo aspetto”.

Si parla di giocare ogni tre giorni. Senz’altro ci sarebbe un livellamento dei valori.

“Sì, e forse anche qualche rischio di infortuni fisici in più. Bisogna stare attenti. È talmente una novità che è difficile capire come organizzare tutto. I problemi dell’Italia oggi comunque sono altri e parlare di calcio penso sia uno degli ultimi. Rimane il fatto che se si riuscisse a riattivare la Serie A sarebbe utile per tutti, sarebbe un momento di svago per gli italiani in un momento serio di difficoltà”.

Come andrà a finire con i dilettanti? Come faresti con le promozioni e le retrocesssioni?

“Per quanto riguarda il mondo dei dilettanti, per quello che sento mi sembra si stia andando verso la direzione più sensata e auspicabile, che è quella di far salire le prime due di ogni girone e non far retrocedere nessuno. Forse questo è il miglior compromesso. Penso che l’altra soluzione sarebbe quella di fermare i campionati e ripeterli. Poi c’è invece quella di premiare solo le prime della classe. Faccio degli esempi di squadre che avevano già vinto il campionato, come il Borzoli in prima categoria. Non dare un premio a quelle società sarebbe un peccato, ma non vedo altre soluzioni. O si riprende o si premiano le prime della classe senza retrocessioni per poi cercare di risolvere i problemi nell’anno successivo con maggiori retrocessioni o cose del genere. Per quanto riguarda la situazione drammatica del mondo dilettantistico, quello è lo specchio del Paese: vedremo come usciremo da questa situazione. Ad oggi c’è un Paese intero che rischia di uscirne in ginocchio. Mi auguro che presto, come spesso successo nella storia dell’Italia, si riesca ad uscirne più forti e nel breve tempo possibile: ma già l’anno prossimo le società avranno diversi problemi. Credo che tutto il movimento debba in qualche modo riflettere e ridimensionarsi, speriamo che sia solo un breve periodo per poi recuperare anche meglio”.

È cambiato il tuo modo di vedere il calcio essendo stato vicino a Ivan Juric? La sua idea di calcio è uguale alla tua?

“Ho fatto cinque anni di professionismo totale, dedicando tanta parte della mia giornata a pensare al calcio, organizzarlo, confrontarmi con lo staff affianco. Sono stati cinque anni di totale crescita. Per la prima volta ho fatto del calcio la mia professione, è sempre stata la mia passione. Quando il lavoro è quotidiano, pesante e totalizzante diventa anche impegnativo. Io ho anche tante altre passioni. La mia idea di calcio? Questo argomento è stato anche motivo di discussione con Ivan perché gli è capitato con altre persone intorno a lui che io percepissi in modo più facile la sua idea, ma io arrivavo molto digiuno da un’idea di calcio perché era più una passione, un amore. Avendo iniziato vicino a lui, che è un animale da lavoro, sono riuscito ad entrare molto in empatia con le sue idee di calcio che mi hanno totalmente conquistato: sia le idee tattiche che quelle di preparazione al lavoro. Sono completamente in debito con lui e forse, di conseguenza, anche con altri allenatori che ha avuto. Ho assorbito un filone di cui lui si è innamorato giocando con certi allenatori e mi ha trasmesso. Poi ovvio che ognuno ci mette del suo. Ma posso dire di essere rimasto pienamente innamorato del lavoro fatto assieme”.

Un anneddoto sulla tua avventura assieme a Juric nel Genoa?

“Purtroppo il periodo al Genoa è stato davvero molto difficile, anche se non inizialmente. Avevamo iniziato bene, ci sono stati dei momenti in cui si riusciva a vivere l’ambiente Genoa con serenità. Poi quando le cose non vanno tanto bene, a Genova come ovunque, si respira aria sempre più pesante. Non è facilissimo ricordare momenti felici. Uno dei momenti molto belli con la squadra, dove si creava un gruppo, ci si lasciava andare e si usciva fuori dalla professionalità, era quando gli argentini del gruppo organizzavano un pranzo a base di  asado finito allenamento a bordo del Pio. Era un momento felice, stavamo andando anche bene: avevamo appena battuto Juventus e Milan. Mi ricordo che iniziarono a palleggiare ed Izzo, che è un giocoliere incredibile con il pallone, da seduto cominciò a palleggiare con la testa arrivando a 200 palleggi consecutivi. Avevamo bevuto un po’ di più ed essendoci tanta gente avevamo bevuto un numero di birre congruenti al numero delle persone, peccato che erano su un tavolino. Allora Izzo, che si era fatto filmare, sembrava avesse bevuto lui tutte le birre, cosa notata da tifosi e giornalisti. Tra l’altro credo che Izzo sia mezzo astemio, non aveva bevuto nessuna birra.


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Mario Ponti
Sono nato a Genova il 10 gennaio 1964. Ho fatto tutto il settore giovanile nel Genoa: 3 anni di primavera, esordio in serie A in Genoa -Napoli nel 1983. Poi esperienze nel Carbonia, Omegna, Casale e Mondovì in Serie C2; poi Dilettante in squadre della provincia di Genova. Un grave infortunio al ginocchio destro mi ha condizionato per tutta la carriera. Quattro operazioni. Una volta terminato di giocare ho iniziato a fare l’allenatore, prima nelle giovanili rossoblu e successivamente per 10 stagioni sulle panchine di Arenzano (il mio paese d’origine), Cogoleto, Lagaccio, Molassana e Pegliese. Infine, la sclerosi multipla è avanzata e ho dovuto abbandonare la panchina motivo per cui ho fatto per tre anni il direttore sportivo. Ora voglio fare solo lo spettatore e il tifoso. Nel 2014 la T.O mi ha premiato come tifoso rossoblu dell’anno, cosa di cui vado molto, molto orgoglioso.