L’Istituto Superiore della Sanità segue alla lettera quanto ribadito non più tardi di due giorni fa dall’OMS per voce di Michael Ryan: vale davvero la pena assumersi il rischio di mettere vicine decine e decine di persone (pur giocando a porte chiuse) su un campo di calcio dopo averne valutato i rischi concreti e le possibili conseguenze? “Sarà una decisione molto difficile da prendere – ammette il direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS Gianni Rezza in conferenza stampa – Non mi sembra che ci siano le condizioni per lavorare a rischio zero ma per nessuna attività che riprenda ci sarà. In questo caso il distanziamento sociale mi sembra scarsamente applicabile e quindi certamente il rischio non è a zero. Facendo un’analisi dei costi e dei benefici si possono prendere decisioni, ma non sta a noi decidere”.

Rezza aggiunge: “Sarà una decisione politica, ma dal punto di vista tecnico è logico che il calcio implichi il contatto diretto – così come altri sport – e quindi controlli molto stretti su un numero di persone relativamente ampio di persone. L’assunto è che si giochi a porte chiuse, ma ci sono comunque 22 giocatori in campo ed almeno 200 che gli stanno intorno. I controlli da fare dovrebbero essere a carico delle squadre e da quanto ho capito a cadenze molto strette. Non ho letto il protocollo FIGC e non posso dare un’opinione in merito, ho solo sentito parlare di tamponi ogni 4 giorni o qualcosa del genere. I giocatori dovrebbero restare isolati rispetto al resto della comunità e alla famiglia, tutta una serie di norme per ridurre al minimo il rischio di contagio”. 


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