Vincere la prima edizione della Coppa Italia e rivelarsi, agli occhi di pubblico e critica, un implacabile “sfondareti”. Fu un pomeriggio memorabile, quello del 16 luglio 1922, per il Vado F.B.C. e per Virgilio Felice Levratto, rivelazione del match sotto l’occhio attento degli scout genoani. Un pomeriggio tutto da rivivere nel libro “La finale infinita. Il mito della sfondareti Levratto e la leggenda della prima Coppa Italia” dell’autore Gerson Maceri.

L’impresa dei liguri contro l’Udinese, al termine di un calvario a oltranza, s’innesta inevitabilmente sulla biografia adolescenziale – appena romanzata – di Virgilio Felice Levratto, giovanissimo eroe locale destinato a fare le alterne fortune anche di Genoa (188 presenze e 84 gol in sette stagioni, dal 1925 al 1932, ndr), Ambrosiana Inter, Juventus (in una breve, seminedita parentesi) e Nazionale. Del campione vadese d’adozione è altresì presente, in appendice, un album fotografico-aneddotico che ne ripercorre l’ineguagliabile carriera, con un occhio di riguardo per l’epopea genoana.

Di seguito, se ne propone un estratto: “Per una ventina buona di minuti, il Vado ci capì poco: sotto una gragnuola di spioventi, Romano sfruttò il mismatch fisico nei confronti di Semintendi per ribattere o arginarlo, assistito dalle temerarie uscite in presa alta di Babboni I. Questi, poi, da habitué del pallone elastico, rinviava al termine d’una leggiadra rincorsa sincopata, roteando il pugno e vibrandolo ascensionalmente sulla sfera, restituendo così il possesso agli ospiti ben oltre la metà campo.

Sotto tramontana, c’era chi s’aspettava addirittura il goal, da lui, in quel modo. Ma Babboni vantava soltanto una stempiatura profonda e un risolino marpione da divetto di Hollywood, non le stigmate del profeta, perciò nessuno ne divulgo mai certe leggende da bar. Dai Achille, cuntinua a daghe drentu, sensa puĵa, forsa!“.

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