Nell’ultimo weekend un fulmine non a ciel sereno ha squarciato il mondo arbitrale. Marcello Nicchi, il Presidente dell’Aia, ha annunciato dopo 10 anni di voler riunire nuovamente la Can A e B allargando ancor di più con la riforma degli organi con tre macro aree (professionisti, dilettanti, calcio a 5 e beach soccer).

Il motivo di questo passo indietro è solamente elettorale. Il prossimo ottobre si vota per eleggere il nuovo Presidente dell’Aia e Nicchi ambirebbe a ricoprirlo per la quarta volta  consecutiva. Spera così con questa mossa di allargare il consenso dei Presidenti di sezione che negli ultimi 4 anni hanno visto pochi loro arbitri provare la scalata alla Can A, pur avendone i mezzi, sia con il fischietto che con la bandierina.

La paura di Nicchi è che l’opposizione, stanca del suo Governo arbitrale esercitato da una sola persona o da un ristretto gruppo di persone in modo assolutistico e arbitrario, come successo negli ultimi 10 anni con arbitri saliti di categoria senza rispettare la legge arbitrale del talento ma per raccomandazioni (basta seguire il campionato di Serie A), possa avere un candidato alternativo alla Presidenza forte e autorevole come quando si presentò Braschi di Barberino di Mugello, poi trombato all’ultimo minuto nel gioco delle urne elettorali.

Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa“. Calza a pennello come scioglilingua per l’attuale Presidente dell’AIA: sopra la poltrona campi, sotto crepi. Una semplice metafora per chi sta nei piani alti sta bene con le conoscenze, chi sta sotto deve tirare a campare.

Tutto quello annunciato da Nicchi venerdì scorso, un progetto iniziale da portare in porto prima del primo di luglio quando inizia il calendario del calcio, potrebbe avere l’avallo del Presidente della FIGC Gravina alla ricerca – da troppo e lungo tempo – di riformare i campionati in un tavolo che dal novembre 2018 non ha prodotto risultati, ma non quello della Lega, come successe quando la Can venne divisa tra A e B.

Ritornando indietro di undici anni, sul finire dell’anno 2009, Collina annunciava tramite una intervista alla rosea che probabilmente si sarebbe divisa la categoria arbitrale con una Can A per dirigere la Serie A e una Can B a dirigere le gare della cadetteria, senza interscambio possibile a scendere di arbitri di Serie A, mentre in B qualche possibilità da parte di qualcuno di dirigere in Serie A.

Nicchi il Presidente contestò subito al Divin pelato la sua intervista e tuonò che la Can non sarebbe stata divisa, rimangiandosi dopo due mesi l’affermazione e assumendosi la paternità del progetto presentato alla FIGC del Presidente Abete. Il giudice supremo per la divisione della Can non fu la FIGC o la Presidenza degli arbitri, bensì la Lega calcio di Serie A che accettò di avere a disposizione per il campionato di serie A, secondo il giudizio dell’Aia nazionale, i migliori fischietti e i migliori assistenti.

Dopo dieci 10 anni la divisione della Can, visto quello che passa il convento in ogni giornata di campionato, è stata un disastro, anche con le innovazioni di assistenti di porta, auricolari, goal-line Technology, il VAR con l’unico protocollo che funziona perché automatizzato in tempo reale, ossia la linea del fuorigioco.

La divisione della Can ha fatto vivacchiare e sta facendo vivacchiare tanti arbitri in Serie A  perché la categoria si lascia solo per limiti di età o di permanenza senza aver dato risultati, in particolare non aver raggiunto il ruolo di internazionale dopo 10 anni o aver diretto un numero limitato di gara. Tutto ciò ha permesso a direttori di gara non all’altezza di rimanere a galla per anni non permettendo mai ad altri arbitri di crescere salendo dalle categorie inferiori.

Fra l’altro, quando arbitri della Can A venivano dismessi per potenzialità tecniche scarse o giochi di scambio organizzati, in particolare, per la nomina ad arbitro internazionale, venivano subito premiati con poltrone nelle varie commissioni. Gli arbitri – e qualche volta gli assistenti di B – sono stati utilizzati da AVAR e come secondi o quarti  assistenti di linea.

Se nel 2010 l’operazione elettorale di Nicchi fu quella di allargare le commissioni per avere più consensi, il ritorno al passato non avrà sorprese con un unico responsabile delle tre macro-aree (Nicchi) e tante commissioni, il tutto con un designatore delle tre aree (Rizzoli) coadiuvato da tante sotto commissioni arbitrali con un personaggio delle regioni con tante sezioni arbitrali che portino voti.

Cambierà qualcosa con il colpo da politico navigato di Nicchi, che ogni quattro anni si accorge del peso dei voti delle varie sezioni arbitrali?  Difficile da prevedere in anticipo se non si avrà la volontà di crescere giovani arbitri mettendo da parte le raccomandazioni delle Regioni con più sezioni e quelle che arrivano da fuori.

Ad oggi, visto il tasso tecnico degli arbitri alla Can, si spera che il protocollo del VAR venga ampliato non solo dentro le aree di rigore, ma in tutti i 100 metri di campo: la tecnologia tanto vituperata (anche dal sottoscritto), facendo i conti, ha comunque ridotto in modo considerevole molti errori dovuti non solo all’applicazione del Regolamento, ma anche allo spostamento sul terreno di gioco dei direttori di gara: poche diagonali e opportunità di essere vicino ai vertici delle aree di rigori per visionare da soli i falli da rigore senza l’aiuto delle TV.

Il calcio da sport più bello del mondo si sta trasformando nel calcio più spettacolare. Chi si immaginava 10 anni fa che un gol/non gol oppure un fuorigioco sarebbero stati giudicati elettronicamente?

Fra 10 anni all’arbitro robot non faranno giudicare le sanzioni disciplinari, e prossimamente (può darsi già idal prossimo anno) arriveranno il tempo effettivo di gioco e la richiesta da parte dei tecnici della visionatura del VAR.

Nessuna novità: ormai il calcio è giudicato dal possesso pallone, dai metri del baricentro, dati che alla fine di un’analisi di una gara saranno precisi, ma non logici. All’appello come notizia manca solo la velocità di un tiro, di un calcio di punizione diretto, di un calcio d’angolo.

Ormai i cronisti, basta leggere le pagelle difficilmente uguali, sono attratti e concentrati  sopra un solo aspetto del gioco o sopra un solo calciatore. La critica tende ad essere quasi distruttiva pur non avendo un insieme sufficiente di informazioni sulla base delle quali  essere invece costruttivi.

La politica nel calcio, non solo quello arbitrale, somiglia ad asini che fanno girare una macchina asciutta per sollevare acqua con i sacchi (le riforme), sempre vuoti per i loro programmi, i loro piani e le loro idee.