Anche contro la Roma, in una partita dove non sono previsti cambiamenti e trasformazioni, la squadra di Prandelli  dovrà mettere in campo equilibrio e organizzazione. Si è sprecato inchiostro in questa settimana  per raccontare o cercare di capire se Prandelli giocherà a 3 oppure a 4 in difesa. La ricetta è semplice: pressing di squadra, aggressività e intensità.

Il sacrificio collettivo nasconde le lacune tecniche dei giocatori e rende difficilissima la vita agli avversari. La ricetta, ripetiamo, è semplice, ma per avere successo l’esecuzione deve essere continua durante tutta la partita, in particolare contro i giallorossi che portano il ritmo delle partite ad essere letargico il più delle volte da parte di Di Francesco  per sfruttare la qualità dei trequartisti dietro alla prima punta.

Il Genoa deve scegliere di correre più dell’avversario, arrivare prima sui palloni, arrivare con un uomo in più. Questo potrebbe fare la differenza. Prandelli  presumibilmente  non vuole che i suoi attacchino più degli avversari e dominino il possesso: vuole governare il ritmo della partita mantenendo alta l’intensità, con una velocità che rende le transizioni letali.

Non è così importante quanto possa sembrare il modulo con cui Prandelli deciderà domani sera di mandare in campo i suoi dal momento che può passare dalla difesa a 4 a quella 3 nell’arcodell’incontro. La posizione dei giocatori è secondaria rispetto all’equilibrio tra i reparti e all’attenzione nelle transizioni, sia difensive che offensive. L’aggressività del Genoa dovrà costringere i giallorossi a far girare il pallone fino a chi ha spazio per lanciare lungo, regalando quindi il pallone alla difesa rossoblu.

Fondamentale sarà pure l’approccio iniziale richiesto alla squadra da parte di Cesare: pressing portato da tutta la squadra e la difesa alta per mantenere l’equilibrio, senza dimenticarsi di Roma-Spal e Roma-Chievo dove la differenza è stata fatta da estensi e clivensi consapevoli di quello che dovevano fare. Difesa, ripartenze ed essere bravi a sfruttare nel momento giusto le ingenuità giallorosse.

Domani sera con la Lupa spelacchiata in piena crisi con tutti e contro tutti potrebbe essere l’occasione per non sentire alla fine “Grazie Roma” cantata da Venditti. Facile che succeda  se il Vecchio Balordo e il direttore di gara si vestiranno da Croce Rossa o Babbo Natale.

La formazione rossoblu anti-Lupa quella che Prandelli prova da una settimana con Radu in porta. Biraschi, Romero, Zukanovic in difesa. Romulo, Hiljemark, Sandro, Bessa, Lazovic a centrocampo. Piatek e Kouamè d’attacco. Che sia 3-5-2 o 3-4-1-2 o 3-4-3 dipende dalle fasi di possesso e di non possesso. I dubbi sono quello fra Sandro e Veloso, a meno che non venga fatta una staffetta e, considerato che per  la Roma l’unico che gioca e spinge è Kolarov sulla sinistra e resta il dubbio di Romulo esterno, per non ripetere il confronto con Ansaldi a Torino, un Prandelli che potrebbe spostare Biraschi più avanti con Gunter dietro (se recupererà) altrimenti Spolli o Lisandro Lopez, anche se a sorpresa contro l’Imperia è stato schierato da mezzala. Solo una idea per uno scampolo di gara?

Capitolo Roma. La formazione giallorossa in queste quindici giornate di campionato non è ancora riuscita ad essere squadra. È una formazione da decriptare partendo dalle scelte di formazione, di modulo, dove  tutto è stato condizionato e caratterizzato dal doppio impegno tra campionato e Champions, con  risultati negativi soprattutto con le squadre della parte destra classifica e qualcuna in fondo.

Roma-Genoa è una partita che non si presta a un facile racconto anticipato: i problemi palesati dalla Roma sul piano e psicologico hanno annacquato il modo di giocare del tecnico Di Francesco caratterizzato in principi fissi e riconoscibili fin dai tempi del Sassuolo: aggressività nel pressing, gioco di passaggi mirati e equilibrati verticali in attacco con movimenti coordinati nel tridente.

Di Francesco per migliorare il bilancio ha dovuto rinunciare a giocatori importanti, anche se hanno continuato ad albergare a Trigoria ambizioni importanti di campionato e Champions dopo il terzo posto dello scorso anno e l’unica squadra che era arrivata quasi in fondo alla Coppa con le orecchie.

La mancanza di Alisson tra i pali, quella di Nainggolan nel mezzo e sulla trequarti ma soprattutto quella di Strootman, la lavatrice del gioco di Di Francesco, hanno avuto un peso importante sui risultati giallorossi e i sostituti Olsen, Nzonzi, Pastore e Cristante sono ancora attesi all’Olimpico.

Di Francesco e il direttore sportivo Monchi sono nell’occhio del mirino, non solodella  società ma di radio e tv romane. Questo perché le interpretazioni tattiche e di calciomercato  lasciano il tempo che trovano e le sei sconfitte in campionato non sono state digerite.

L’unica certezza che Di Francesco ha quella di aver usato tutti i calciatori a disposizione  applicando un turnover spinto e tutti sperano che oltre i risultati negativi si possa ripetere di arrivare in forma al momento cruciale del campionato, essendo il tecnico giallorosso stato baciato dal superamento del turno in Champions, non per meriti propri come successe la scorsa stagione. Per tale motivo non è stato ancora licenziato.

A proposito di Monchi, signore dell’Europa League al Siviglia vinta per parecchi anni di seguito, si sarà reso conto che in Italia è difficile giocare e anche fare il dirigente sportivo dove la libertà di azione è condizionata dentro e fuori delle società. Figurarsi a Roma dove imperversano radio, televisioni e giornali.

L’arrivo di Pastore doveva essere la ciliegina sulla torta, invece il calciatore con i ritmi del gioco della Ligue 1 nel PSG dove era facile giocare bene visto i rivali e i compagni di squadra si è trovato a disagio nel svolgere il lavoro da mezzala in fase difensiva o di non possesso pallone. Con El Flaco (magro o mollo) in campo, la Roma in questo campionato – per di più con De Rossi ai box e  senza Strootman – si è trovata spaccata in due e sbranata dagli avversari nel cuore del gioco come è successo a Cagliari, l’ultima di campionato, dopo essere stata in vantaggio di due a zero fino all’80esimo con l’uscita di Schick e l’entrata di Pastore.

A Roma digeriscono poco la Roma reattiva in trasferta e con troppi problemi evidenti quando c’è la necessità di condurre il gioco e scardinare le difese avversarie  tra le mura amiche.

I principi di gioco di Di Francesco, il 4-3-3 verticale non sono stati digeriti o calibrati sui calciatori a disposizione e il tecnico ha ricorso in parecchie gare ultimamente al 4-2-3-1 e i   risultati sono arrivati grazie alle perle di Cengiz Under e El Shaarawy, più che con il gioco.

Quali sono le colpe di Di Francesco in questa stagione italiana iniziata nei peggiori dei modi – e non solo dal punto di vista dei risultati – considerato che i difetti tattici dello scorso anno sono aumentati con la squadra che non ha digerito la rivoluzione del mercato estivo che doveva sostituire giocatori cardine ma con caratteristiche diverse? Probabilmente poche. Anche se le difficoltà dell’allenatore abruzzese nell’impiantare il suo sistema di gioco codificato, non adatto ai calciatori affermati,  lo collocheranno a fine anno, se non troverà delle soluzioni, qualche gradino più in basso di altri colleghi.

Il 4-2-3-1 romanista funziona o gioca con i terzini ad attaccare l’ampiezza in verticale mentre le ali rientrano nei mezzi spazi e i due mediani rimangono bloccati per garantire le marcature preventive. Non riuscendo questo gioco, la Roma si è rifugiata spesse volte nei cross dal fondo e senza Dzeko sono dolori sfruttarli.

La formazione dei giallorossi contro il Genoa? Di Francesco ha sospeso il ritiro punitivo, ma pensa a qualche rivoluzione convocando anche il centravanti della Primavera. Le uniche certezze sono la difesa con Olsen, Florenzi, Manolas, Fazio, Kolarov. Nel mezzo Nzonzi. Tanti però i dubbi per le altre cinque maglie, anche se gli infortuni di Dzeko, El Shaarawy, De Rossi (ieri rientrato in gruppo), Lorenzo Pellegrini e la scarsa forma di Perotti  lo costringeranno a giocare con la stessa formazione degli ultimi tempi avendo poche possibilità di fare rivoluzioni.

Arbitro di Roma-Genoa è Di Bello di Brindisi. Bancario  del 1981, arbitro internazionale dal gennaio 2017. In campo con il fischietto dal 1999, esordio in serie A nel 2012, fisso alla CAN dal 2014. Sono 81 le gare dirette in Serie A. Pari tra rigori e cartellini rossi: 26. In stagione sei le gare, due con la Roma (vittorie con Frosinone e Torino) mai il Genoa. La carica di referee internazionale lo ha migliorato dal punto di vista tecnico e anche di personalità, importante che non si monti la testa come fece il suo connazionale Damato  che si tenne la carica internazionale, ma poche furono le soddisfazioni fuori dai confini italici. Opposti i tabellini tra la Lupa e il Grifone con il brindisino: i giallorossi su 8 gare ne hanno vinte 7, pareggiata una e persa nessuna. Coi rossoblu su cinque gare 1 vittoria e 4 sconfitte.

Primo assistente Vuoto Livorno, secondo Tasso di Aulla, quarto uomo Giua di Olbia. Al VAR Chiffi di Padova, all’AVAR Mondin di Treviso. Nessun diffidato.


Roma-Genoa, Aguilera l’ultimo rossoblu a consegnare tre punti al Grifone nella Capitale