Al termine della stagione sportiva 2022/2023 del settore giovanile del Genoa, che ancora una volta ha prodotto ottimi risultati assieme alla promozione del Genoa Primavera dopo un solo anno in Primavera 2, abbiamo intervistato il Responsabile del Settore Giovanile del club rossoblu, Michele Sbravati. Queste le sue parole a Buoncalcioatutti:

Ci fai un bilancio della stagione del settore giovanile del Genoa?

“Il bilancio è sicuramente positivo se riferito agli obiettivi di partenza. Abbiamo detto tante volte con voi e coi vostri colleghi cosa significhi fare settore giovanile, ossia porsi degli obiettivi, una filosofia e dei principi e perseguirli per far sì che, in un settore giovanile di selezione come quello del Genoa e di altre società professionistiche, si ottengano giocatori formati per il calcio professionistico. Se poi vengono formati per il Genoa, ancora meglio, e questo perché il nostro sogno è vedere i nostri ragazzi come successo quest’anno con Lipani, Accornero, Boci, Agostino all’ultima partita. Tre su quattro sono ragazzi cresciuti nell’attività di base. Grande merito quindi a chi lavora un po’ nell’ombra, da Andrea Bianchi a tutti i suoi tecnici che costruiscono dal basso, dal vivaio, dal puro settore, i ragazzi per il settore agonistico.

È un bilancio positivo anche per esordi e giocatori arrivati al professionismo, considerando anche i ragazzi in prestito in Serie B e Serie C. Prosegue un po’ il lavoro di filiera iniziato già negli anni scorsi dove abbiamo creato circa 179/180 giocatori che hanno raggiunto il professionismo e che hanno fatto almeno un anno nelle categorie professionistiche, potendo dire di aver raggiunto il loro sogno di diventare calciatori protagonisti. E poi chi in Serie A, 7/8 in Nazionale, chi in Serie C. E ancora ci sono i risultati di squadra, con la soddisfazione di aver visto quattro squadre su cinque arrivare ai playoff. Il risultato principale, se parliamo di risultati di squadra, l’obiettivo di quest’anno era la risalita della Primavera in Primavera 1, anche se, parlando di obiettivo principe, era la risalita della Prima Squadra in Serie A. È stata una bella stagione, e anche il risultato della Primavera è stato un risultato molto, molto importante per tutto il movimento”. 

La dirigenza vi ha seguito molto quest’anno, in tante partite. Avranno anche compreso tutti i sacrifici che fate per giocare su diversi campi…

“La presenza dei dirigenti della Prima Squadra è stata continua, soprattutto per quanto concerne le gare della Primavera, che è la categoria più vicina alla Prima Squadra. Talvolta anche in trasferta, a Milano, come nel quarto di finale di Coppa Italia col Milan. Questo è molto positivo. La nuova proprietà ha subito recepito, dopo aver fatto le opportune indagini sul movimento calcio Genoa a 360 gradi, l’importanza del settore giovanile, di ciò che ha creato in questi anni, della formazione de giocatori e dei tecnici. E soprattutto ha colto una filosofia e un DNA rossoblu che hanno contraddistinto questi vent’anni da quando siamo stati chiamati a gestire un settore fondamentale per la società, non solo del Genoa ma di tutte le società italiane e internazionali. La loro vicinanza è stata importante e ha fatto sì che ci potesse essere un confronto sulle aree di miglioramento di questo settore, che sono ahimè molto ampie”. 

Facendo un paragone con l’Athletic Bilbao, ci sono tanti giocatori che selezionate dalla Liguria. Quanti ne avete adesso in particolare?

“Il numero dei ragazzi tesserati e provenienti dalla Liguria è più elevato in proporzione a quelli che arrivano da fuori regione. Nel settore pre-agonistico, ossia nell’attività di base, sono tutti liguri, tranne qualche ragazzo della provincia di Alessandria che, essendo provincia confinante, si può tesserare. Nel settore giovanile agonistico abbiamo una quarantina di ragazzi provenienti da fuori regione, dall’Under 15 alla Primavera. Su 260/270 ragazzi totali la proporzione di liguri è molto alta. E molto alta è anche la percentuale di liguri arrivati al professionismo: di quei 180 ragazzi di cui parlavo prima, una cinquantina sono liguri. È un piccolo orgoglio poter registrare che il detto che la Liguria non produce calciatori o è difficile costruirli è stato un po’ smentito dal percorso del Genoa di quest’anno, alcuni arrivando anche alla Serie A. Chi sono questi giocatori che hanno esordito? Beh, intanto prima parlavamo di Lipani e Accornero che sono liguri, ma anche di Boci che è toscano. Poi stabilmente in Serie A ci sono, tra gli ultimi arrivi, Cambiaso nel Bologna o Rovella nel Monza o Altare nel Cagliari. Nella leva 2000 ci sono ben 17 giocatori che hanno toccato il professionismo, da Lovato a Girgi, da Antonelli a Cambiaso. Nella leva 2001 sono ben 16. Abbiamo quindi, tra le leve 2000 e 2001, oltre trenta giocatori ad aver raggiunto il professionismo tra quelli passati dal nostro settore giovanile. È un bel dato che ci rende felici e orgogliosi”. 

Questi ragazzi cosa devono fare per poter fare il passaggio in Serie B o Serie A? 

“Ognuno ha il proprio percorso: c’è chi arriva in maniera più veloce, chi esordisce prima e riesce a mantenersi. Il Genoa ha questo piccolo record di aver fatto esordire cinque ragazzi in tenera età tra cui Pellegri, Salcedo ed El Shaarawy. Solitamente, quando un esordio è molto precoce e non viene mantenuto nel percorso, uno fa l’esordio e sparisce dalla circolazione. Questi giocatori, a cui vanno aggiunti Mandragora e Perin, sono attualmente ancora giocatori di Serie A e questo significa che non sono stati esordi effimeri, casuali, ma dettati da qualità riconosciute e confermate nel loro percorso. Altri possono arrivare più tardi perché magari devono formarsi, crescere fisicamente e come personalità. Ci sono ragazzi che magari a 18 anni possono non essere pronti, e allora fanno un percorso di avvicinamento tramite le categorie inferiori. Come ha fatto Cambiaso, che è stato straordinario nel costruirsi da solo in Serie D, poi un anno in C, superare un infortunio grave per poi diventare a 23 anni un giocatore consolidato di Serie A. Noi dobbiamo seguire questi ragazzi e cercare di intuire chi ha più bisogno di avvicinarsi gradatamente, chi ancora non è pronto. Il Girgi che abbiamo citato è uno di questi casi. Abbiamo tanti casi di giocatori che ora giocano in Nazionale, ma che hanno avuto un percorso particolare, come Gatti della Juventus: ha fatto un percorso giovanile particolare, poi è partito dai Dilettanti e adesso è arrivato in Nazionale”. 

I giocatori cresciuti nel vivaio vanno messi nelle liste dei 25 giocatori, ma poi spesso scaldano la panchina. Si studierà qualcosa per fare in modo che un numero fisso di giocatori del settore giovanile giochi?

“È argomento molto delicato perché ognuno di noi ha la propria idea, qualcuno di noi anche nelle sedi opportune l’ha fatta presente per favorire maggiormente lo sviluppo dei talenti locali, dei giocatori italiani perché possano essere impiegati con più frequenza. Un regolamento più stringente per quanto riguarda le rose, con giocatori provenienti dal puro vivaio, credo possa dare dei vantaggi. Una regola che può essere similare – non uguale in tutto e per tutto – a quella della Serie D, dove avendo l’obbligatorietà di fare giocare quattro Under, un direttore sportivo costruisce la rosa partendo da 8/10 Under competitivi e gli anziani vengono inseriti dopo. Se una regola simile potesse essere attuata, potremmo avvicinarci ad una cosa simile ampliando il numero di giocatori del puro vivaio all’interno delle rose. Essendo in numero più elevato, scalderebbero meno la panchina perché gli allenatori sarebbero obbligati tra squalifiche e infortuni a farli giocare”. 

Il Genoa ha ancora 63 giocatori a contratto. Secondo te, la seconda squadra il Genoa la dovrebbe fare oppure farla diventerebbe un problema?

“È un aspetto che valuterà la società, il management a livello di Prima Squadra. Sento che anche altre società potrebbero allinearsi alla scelta della Juventus negli ultimi 3/4 anni di fare un Under 23 partecipando al campionato di Serie C. La stessa Juventus vi ha potuto inserire i ragazzi in uscita dalla Primavera e, anziché mandarli in prestito, li ha tenuti in casa cercando di formarli e costruirli nell’ultimo step del loro percorso. A volte quelli non pronti per i campionati professionistici hanno un passaggio intermedio in Primavera come fuori quota oppure in Under 23. Sicuramente abbiamo un problema strutturale in tal senso perché anche pensare a dove fare giocare l’Under 23 è tosta. Prima parlavamo di aree di miglioramento: la società sta facendo tanti sacrifici e ha investito tante risorse, come aveva fatto la società precedente, e la dobbiamo solo ringraziare. Ma le risorse messe a disposizione del settore giovanile sono andate un po’ “disperse” senza avere un centro sportivo di proprietà o una foresteria personalizzata. Il futuro – e la società è perfettamente cosciente di questo – dovrà passare per forza dall’avere strutture e campi migliori. Anche perché il fatto di fare risultati non deve diventare un alibi, un tanto i giocatori li tirate fuori lo stesso anche se non ci si allena nelle condizioni migliori o su campi adeguati. Non è più così. Sono passati gli anni e ci sono società virtuose. Non parliamo dei top club, che hanno tutti centri clamorosi, ma sono cresciute molto le piccole società, quelle che vent’anni fa non erano competitive anche nella scelta dei ragazzi. La selezione passa non solo attraverso ciò che proponi come tecnici (e siamo all’avanguardia) e come blasone (e siamo al top), ma anche attraverso ciò che offri a livello strutturale, ossia dove si allenano i ragazzi. È come scegliere una scuola, che scegli in funzione dei professori, ma anche della struttura. La società deve fare il salto di qualità in tal senso, ne è consapevole e si sta impegnando a farlo, altrimenti diventeremo meno competitivi anche a livello di scelta e di selezione in futuro”. 

Genoanello è nei tuoi sogni?

“Arriverà. Abbiamo una conformazione geografica un po’ complicata e pensare di costruire subito 6/7 campi non è facile, ma ripeto: altri lo hanno fatto e hanno fatto salti di qualità importanti, ad esempio le società della via Emilia come Sassuolo, Parma, Bologna, Spal o Modena, che ha già progettato un centro sportivo di alto livello. E tante altre, come Catania e Novara che hanno due centri sportivi straordinari pur facendo la Serie C, o come lo Spezia, che è società che si è evoluta in questo senso. Dobbiamo assolutamente allinearci: il sogno c’è. Speriamo un giorno di poter salire sul trespolo e, solo girando il capo, osservare tre, quattro o cinque squadre che facciano contemporaneamente allenamento e non dover fare magari trenta chilometri per raggiungere la struttura dell’attività di base rispetto a quella della Primavera”. 

Il mercato del settore giovanile è globale come quelli di Serie A e Serie B? In tutte le altre squadre vediamo ragazzi che arrivano da tutte le parti

“Basta vedere il campionato Primavera 1 dove Lecce e Torino, le prime della classifica, annoverano nelle proprie rose un numero elevatissimo di ragazzi stranieri. Quelle sono strategie ed è inutile dire cosa sia meglio o peggio. Se tu riesci a produrre giocatori italiano o stranieri che possano poi giocare nella tua Prima Squadra o possano diventare professionisti, c’è poca differenza. Diverso il discorso per il club Italia, dove non è facile avere un ricambio generazionale continuo se il numero dei giocatori stranieri impiegati supera quello degli italiani, anche semplicemente nel campionato Primavera. È un discorso di equilibri e alcune società privilegiano una strategia, altre un’altra. Noi, in ogni caso, siamo contenti di aver creato per tanti ragazzi italiani e stranieri, e soprattutto liguri, l’opportunità di diventare professionisti”. 

Il tuo compito, oltre trovare calciatori, è anche invogliare i tuoi allenatori ad aggiornarsi in tutti i campi?

“Assolutamente sì. Il calcio è cambiato, le generazioni di ragazzi sono diverse da quando abbiamo iniziato. Io sono al Genoa dal 2003 e in questi vent’anni sono cambiate tantissime cose. È cambiato soprattutto l’approccio coi ragazzi e coi genitori. I ragazzi hanno bisogno di supporto non solo tecnico e non ci si può limitare a competenze esclusivamente tecniche, tattiche o atletiche. Al giorno d’oggi un istruttore deve essere capace, aggiornato dal punto di vista relazionale e comunicativo (indispensabile una comunicazione corretta). Un istruttore oggi deve essere capace da un punto di vista psicologico nel capire il ragazzo che ha di fronte perché noi abbiamo una grande responsabilità, soprattutto coi minori: dobbiamo essere un supporto per il genitore ma non sostituirci al genitore. La figura dell’allenatore è una figura di riferimento e non può essere esclusivamente tecnica. Per questo il consiglio che noi diamo ai nostri giovani allenatori – e anche a quelli più anziani, che a volte fanno un po’ fatica a cambiare il loro modo di approcciarsi ai ragazzi – è quello di non smettere mai di aggiornarsi sotto l’aspetto affettivo, relazionale, psicologico, comunicativo”. 

Questo però significa non perdere i principi di base del gioco e la tecnica…

“Quelli rimangono un requisito indispensabile, ma statistica e studi fatti ci dicono che ragazzi che tecnicamente potevano non essere straordinari, attraverso  una determinazione, una capacità di apprendimento, una determinazione nell’apprendere e migliorarsi, sono riusciti a diventare professionisti superando magari quei talenti che sembravano, in tenera età, dei piccoli fenomeni a livello tecnico, ma non sono stati capaci di crescere sotto l’aspetto caratteriale e mentale”.

Per fare rendere i giovani calciatori bisogna tirare fuori le loro potenzialità e insistere sulle competenze senza le quali è difficile raggiungere un gioco di squadra e gli allenatori devono ridurre la loro filosofia alle capacità interpretative di un calciatore?

“Il concetto principale di questa considerazione era che gli allenatori del settore giovanile devono concentrarsi di più nel mettere al centro l’individuo e non la squadra. Se riusciamo a migliorare individualmente i ragazzi, poi inevitabilmente migliorano anche i gruppi. Uno può dire che non è importante essere competitivi nei campionati, importante creare giocatori. Le due cose, però, vanno di pari passo: se crei giocatori con un bagaglio completo, competitivi e forti, inevitabilmente ne possono giovare anche le squadre. L’aspetto del lavoro individuale, facendo anche meno sedute collettivi e più individuali per creare un rapporto ematico coi giocatori per fare loro riconoscere le aree di miglioramento. Come a scuola, se uno zoppica in matematica, deve fare ripetizioni di matematica. Se uno zoppica in italiano, deve fare ripetizioni in italiano. Nello sport è uguale. Se nei fondamentali o nel primo controllo ti manca qualcosa, o se sei più scarso nella lettura delle traiettorie o dal punto di vista atletico e fisico, devi migliorare in quel senso per arrivare a migliorare. Un allenatore importante che è passato dal Genoa, una decina di anni fa, mi diceva: “quando arrivano in ritiro con la prima squadra a noi non interessa se il ragazzo sia stato in nazionale o se abbia vinto un torneo o sia stato capocannoniere in Primavera, ma ci interessa vedere il bagaglio e se è competitivo ad allenarsi coi giocatori veri”. Se non sei competitivo perché ti mancano nel bagaglio alcune qualità importanti che rendono la partitella coi giocatori della Prima Squadra poco allenante, è un problema perché vuol dire che non sei all’altezza per quel livello lì. È una considerazione che ho fatto mia e che mi ha insegnato tanto”.

C’è chi dice che fino a sedici anni i giocatori non devono fare tattica, ma solo tecnica. Sei d’accordo?

“Ci sono anche quelle correnti di pensiero per cui già in tenera età i ragazzini devono giustamente dribblare, essere creativi, avere fantasia, non essere vincolati a dogmi tattici. È vero, ha ragione. A volte, però, bisogna trovare un buon compromesso perché, quando si comincia a giocare a undici a 14 o 15 anni, all’interno un po’ di organizzazione di gioco ci deve essere. Non tanto per un discorso di moduli, ma per un discorso di principi che vanno considerati maggiormente nella formazione di un ragazzo e che devono essere trasmessi da un allenatore senza dimenticarsi della fascia d’età a livello psicologico. Il poterli fare esprimere, il permettere loro di azzardare un dribbling o un tiro da trenta metri, il dare loro coraggio, deve rimanere nel bagaglio dei ragazzi. Non bisogna indurre le giocate continuamente privandoli della loro fantasia. Questo, più che l’aspetto tattico, è ciò che conta nella formazione di un ragazzo”. 


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