Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il direttore sportivo del Genoa, Marco Ottolini, che ci ha raccontato la sua storia prima di legarsi al club rossoblu e quali sono le metodologie di lavoro che adotta durante la settimana, nel quotidiano e all’interno della rete multiclub 777 Partners.

Tanti genoani sparsi per il mondo vogliono sapere chi è Marco Ottolini, il Direttore Sportivo del Genoa…

“Sono stato un calciatore, pur non arrivando a livelli alti: ho disputato tutte le giovanili nel Brescia in un momento in cui erano un’ottima cantera. Ho avuto questa possibilità, sono stato lì nove anni, poi sono stato a giocare all’estero per un breve periodo. Poi ho fatto valutazioni che mi hanno portato alla scelta di non proseguire. Rientrato dall’estero, mi è stato proposto di lavorare come osservatore e ho colto l’opportunità. Quindi ho iniziato molto presto a lavorare fuori dal campo.

Il mio ruolo? Ero un attaccante. Ho iniziato come esterno alto, offensivo, e poi ho fatto la prima punta. Ho fatto diversi gol nel campionato Primavera e ho avuto anche un contratto da professionista. Poi non ho fatto la carriera che ci si aspettava per vari motivi, ma proprio questo mi ha aiutato a capire quali fossero le mie prerogative e quali errori avessi fatto magari da calciatore e si è rivelato prezioso per il mio percorso professionale”. 

Le parole inglesi nel suo curriculum sono tante, tra cui Loan Players Manager…

“La tendenza all’internazionalizzazione dei ruoli, in un calcio sempre più globale, è evidente e per certi versi necessaria. Nel mio curriculum c’è il Loan Players Manager, l’ultimo ruolo che ho avuto alla Juventus. Mi occupavo dei calciatori in prestito, quindi di una squadra formata da calciatori che giocavano in diverse squadre. È un ruolo abbastanza particolare perché ti trovi a gestire giocatori che non giocano nella stessa squadra, ma che fanno tutti parte dello stesso club. Cerchi di valorizzarli, seguirli, dare loro consigli, oltre ad occuparti di trattative vere e proprie in sede di calciomercato. Precedentemente ho avuto la possibilità di lavorare all’Anderlecht, per tre anni, e mi sono occupato di scouting internazionale. Quindi, di fatto, ho visto giocatori, scritto relazioni, mi sono confrontato con dirigenti e direttori”. 

Il lavoro con Spors. È stato lui a portarla al Genoa, il direttore sportivo di tutto il Football Group dei 777. Come si svolge e in cosa consiste? Qual è il confronto che c’è fra tutte le squadre?

“In questa stagione Spors si è occupato del coordinamento di tutti i club, nonché dell’acquisizione di alcuni club. A Genova, quindi, a partire da settembre non è più stato con continuità. La sua attività attuale è più di coordinamento e presenza saltuaria a qualche nostra partita, come fa anche con altri club come lo Standard Liegi. Poi magari sta una o due settimane in Brasile col Vasco. Organizza i vari incontri tra direttori e scout delle varie società per cercare di massimizzare le risorse. Fra l’altro, in questi due giorni avremo un incontro a Parigi coi vari dirigenti delle altre squadre”.

Le regole di lavoro necessarie per amministrare lo spogliatoio del Genoa

“Dall’esterno si tende a credere che il lavoro del direttore sia solamente scegliere i calciatori, ma è solo la punta dell’iceberg. Nel quotidiano si è qui dalla mattina alla sera, e di notte si pensa ancora alle cose che si devono fare per la squadra. Ogni giorno escono cose nuove, rapporti, aspetti che stanno dietro alla gestione di una squadra di calcio. Si cerca di trasmettere serietà, una linea, un senso di responsabilità, e credo che ai calciatori, essendo esseri umani, interessi avere a che fare con persone che capiscono anche dinamiche prettamente umane. Credo che questa cosa debba essere riconsiderata. Non possiamo pensare che i calciatori siano solo quelli che hanno firmato determinati contratti, che devono essere pagati e offrire una prestazione senza aver nessun tipo di visione durante il giorno. Vanno gestiti, ascoltati e responsabilizzati. E questo è un po’ quello che cerchiamo di fare”. 

Per i 777 una regola principale dovrà essere ottenere il successo in una gestione sportiva con la trasformazione di idee di calcio e calciatori in un modello imprenditoriale vantaggioso. Una volta c’era il magnate che decideva di comprare Maradona, invece adesso i soldi investiti nel calcio sono di molti soci e di molte attività. Qualcosa cambia anche nel vostro lavoro?

“Alla fine si fa calcio. Si gestiscono risorse umane, in questo caso calciatori, cercando di valorizzarli per la loro carriera e il loro club. Devi sempre fare i conti con la necessità del risultato immediato e quella di un risultato a medio-lungo termine. Bisogna trovare un mix tra queste due cose. Questa è la sfida più grande per ogni club, e credo anche per una rete multiclub. Valorizzare ciò che si ha all’interno e, nel contempo, guardare fuori cosa succede e cosa può fare al caso tuo”.

Lei è un direttore sportivo atipico, parla poco e predilige i fatti. Da quando è arrivato nel luglio 2022 al Genoa, non ha sprecato risorse per lasciare una sua impronta, ma ha lasciato una traccia puntando sulla qualità e facendo arrivare giocatori come Coda, Vogliacco, Dragusin, Strootman…

“Penso che disperdere risorse non sia buono per nessuno, specialmente in una situazione come quella del Genoa che a luglio si è ritrovato con una sessantina di calciatori. Perché doverne per forza andare a prendere di nuovi da fuori andando a creare per forza situazioni da gestire, talvolta complicate, e costi? L’idea è stata valorizzare quello che di molto buono c’era già e siamo partiti da lì.

Lei è stato uomo di calcio di società come Juventus e Anderlecht e per ottenere risultati bisogni trovare i talenti prima degli altri. Come si distingue un talento al giorno d’oggi e arrivare prima degli altri?

“Penso ci siano tante forme di talento e non si deve pensare che un talento sia qualcosa di meramente tecnico. Un talento può essere Morten Frendrup che è un giocatore instancabile  e da questo punto di vista ha un talento, un’abnegazione e una mentalità incredibili. Oppure può esserlo un altro giocatore che eccelle in qualcos’altro. Il talento si può manifestare in tante forme. Oggi, in un giovane calciatore, cosa può fare davvero la differenza è la mentalità, la volontà di arrivare e migliorarsi e mettere in pratica questa volontà. Non che sia una volontà così, di arrivare ad essere qualcuno, ma che sia una volontà che mi porta a mettere in pratica determinati comportamenti per arrivare”.

Come è composta la struttura a sua disposizione? 

“C’è una struttura interna del club che fa capo alla direzione sportiva, a partire dal team manager fino alla segreteria passando per l’ufficio stampa. Tutte risorse fondamentali nella vita quotidiana di un club. Per quanto concerne la struttura scouting, abbiamo un capo Scouting e sei scout. Alcuni si occupano più del mercato italiano, altri del mercato internazionale. Due scout hanno base all’estero, uno in Francia e uno nei paesi nordici, ma viaggiano. Al momento la struttura è organizzata così, ma c’è spazio e stiamo vedendo anche come massimizzare le risorse con gli altri club. Nel nostro caso, per esempio, le competizioni in Sudamerica le seguono più gli osservatori del Vasco. Stiamo cercando di creare una sensibilità all’interno dello scouting e degli scout stessi per capire quali profili siano più adatti ad un determinato club piuttosto che un altro. È un discorso di qualità e sensibilità dello scouting”. 

Cosa cambia con le 5 squadre nella galassia dei 777? In molti pensano che ci possa essere un giro di calciatori per andare non tanto a coprire, ma mettere le altre squadre nelle condizioni di raggiungere un risultato

“Intanto non c’è nessuna scelta che ci viene imposta. Nello stesso tempo, c’è da prendere coscienza che, come dicevo prima, se si riescono a non sprecare risorse è meglio. La priorità è che siano risorse che fanno al caso tuo. Ogni club ha le proprie prerogative, il proprio tipo di calcio, il proprio allenatore, ed è normale che si guardi all’interno del gruppo per capire se c’è qualcosa di giusto e se, anche per gli step stessi di carriera, i giocatori possono giovare più di un ambiente piuttosto che di un altro. Non è però una cosa che sarà strutturata o imposta in alcun modo”.

Quando bisogna avere un sostituto pronto?

“Dipende dalle stagioni e dalle situazioni. Chiaramemte dobbiamo farci trovare pronti e la cosa buona è che gli scout del Genoa sono tornati a rivedere partite un po’ in tutto il mondo. Abbiamo le nostre liste, per ciascun ruolo, di possibili calciatori che facciano al caso nostro”. 

L’affidamento che un direttore sportivo deve fare su un allenatore?

“Deve farci grande affidamento, deve avere un rapporto quotidiano come c’è in questo momento. Ci deve essere fiducia, bisogna capire le reciproche necessità. Serve armonia”.

Che sintonia c’è con Gilardino? Che coordinamento con il suo lavoro? Nel calcio mercato quanto conta coinvolgere anche l’allenatore?

“C’è un confronto continuo tra società e allenatore. Il club ha il proprio orientamento, la propria strategia, che ovviamemte tiene conto di diversi parametri. Si individuano le possibili opzioni e si lavora per massimizzare il risultato. In alcuni casi, magari, il tecnico conosce determinati calciatori perché li ha avuti e la società deve essere pronta ad ascoltare queste richieste”. 

Il Genoa di Gilardino funziona perché ha messo dentro lo spogliatoio una gerarchia decisa dal tecnico, che viene compresa e rispettata. Lei partecipa al discorso del tecnico prima delle gare e dopo?

“Col mister ho un rapporto veramente molto continuo, quotidiano, più volte al giorno ci parliamo di tutto, da aspetti tecnici ad aspetti gestionali e individuali. Dopodiché, nel momento in cui lui parla alla squadra, io penso di dover fare un passo indietro. Non partecipo direttamente al pre-partita nello spogliatoio, sto in un’altra stanza perché lui deve sentirsi libero di esprimersi così come i calciatori. Sono sempre stato abituato a non vivere e vedere questo ruolo dalla panchina. Altri colleghi ci vanno, io credo che il direttore sportivo debba partecipare a tutto, però ci sono momenti in cui a squadra e allenatore va lasciato il proprio spazio. Naturalmente, io ho colloqui quotidiani e coltivo rapporti individuali costanti con tutti i calciatori negli altri momenti della settimana, oltre a parlare di persona alla squadra nei momenti che ritengo opportuni” 

Il calcio vive di risorse informatiche, investe risorse per l’archiviazione e il trattamento dei dati. Tanti gli strumenti informatici, ma per capire un calciatore bisogna andare di persona sul campo per capire se fa al caso vostro. Voi andate a vederli dal vivo? 

“Questo è un po’ un mito da sfatare. Forse è bello sentirne parlare da fuori, pensare che si scelgano i giocatori coi dati, ma in realtà il percorso di scelta del calciatore inizia anzitutto dallo scouting dal vivo e da video. Poi c’è un ultimo passaggio dove, per strategia del gruppo facciamo preparare un report dati. Abbiamo un centro dati a Londra, di livello alto, ma entra in gioco in una fase successiva. Nel momento in cui abbiamo visto e relazionato un calciatore e pensiamo possa essere interessante in quel momento, richiediamo al nostro ufficio di data analysis di dire la loro, se i dati supportano la nostra visione oppure no. Può darti un supporto o farti fare qualche domanda, ma nulla più di questo.”

Il settore giovanile sta ottenendo successi a tutti i livelli…

“È una risorsa molto importante e lo sarà sempre di più. Il nostro settore giovanile ha dato prova di lavorare bene, produrre calciatori. Per un calcio sostenibile, penso sia fondamentale lavorare bene coi settori giovanili, avere tecnici preparati che lavorano per la crescita dei ragazzi. Ho vissuto l’esperienza dell’Under 23 e delle seconde squadre e credo possa essere uno step molto importante di completamento e approccio al calcio professionistico. Un ponte tra calcio giovanile e attività di prima squadra. Quella delle seconde squadre è una struttura che non tutti i club possono permettersi da un punto di vista infrastrutturale, nonché da un punto di vista di impiego di nuove risorse, di professionisti, di organizzazione, di viaggi, di stadi, di trasferte. Da un punto di vista prettamente sportivo quello potrebbe andare a completare un settore giovanile. Tornando al discorso generale, anche quest’anno si è vista la volontà di promuovere i nostri migliori talenti e capire quale sia il percorso migliore per ciascuno di essi”.


Stelle nello Sport, all’asta la maglia del Genoa autografata da Massimo Coda