Ben 110 anni fa, il 22 gennaio 1911, il Genoa Cricket and Football Club giocava la sua prima partita sul terreno di gioco di Marassi, alle spalle di Villa Musso-Piantelli, su quello che inizialmente venne chiamato “Campo di via del Piano“.

È da quella data, che in alcuni casi non viene indicata come gara di inaugurazione a discapito di quella del 14 maggio 1911 contro l’FBC Piemonte (contro l’Inter nella gara del 22 gennaio 1911 il campo era ancora circondato dalla pista dei cavalli presente in origine), che il Club più Antico d’Italia gioca le partite casalinghe a pochi passi dal Bisagno, nel cuore del quartiere di Marassi.

La genesi di questo rapporto secolare e tutt’oggi viscerale tra il Genoa, i Genoani e quello che, dal 1933, si chiama “Luigi Ferraris“, parte però qualche mese prima di quell’anno 1911. Infatti il primo luglio 1910, come riportano le cronache di Amedeo Garibotti nel volume “Genoa dietro la facciata“, “il socio Musso Piantelli propone all’Assemblea un terreno di sua proprietà in località Marassi per la costruzione del campo sportivo“.

Pasteur, all’epoca dirigente del Genoa e già vincitore del primo storico scudetto del club rossoblu italiano nel 1898, intravede subito i vantaggi di tale proposta. E non potrebbe essere altrimenti vista la sua esperienza diretta tra polvere e calcio pionieristico. Dopo aver giocato le prime partite nella Piazza d’Armi di Sampierdarena, costruendo le porte con le “pietre o coi nostri indumenti“, e quelle ancora successive, propedeutiche al primo campionato ufficialmente riconosciuto, sul campo di Ponte Carrega preso in affitto col suo “terreno ondulatissimo” e le sue “porte in legno irregolari e senza reti“, si rende conto dei molti vantaggi che il terreno di Marassi offrirebbe. Era il calcio romantico e immarcescibile dei pionieri quello vissuto da Pasteur, ritiratosi dal calcio giocato quattro anni prima (1906).

Memore anche di quel passato, pronto a dare una ulteriore e significativa svolta alla storia del calcio a Genova, l’Assemblea dei soci accorda il proprio assenso alla trattativa col socio Musso Piantelli. Ci saranno discussioni sulla modifica dello statuto, ma alla fine, tre mesi e mezzo dopo quel primo luglio, nel mese di ottobre 1910, il Genoa è già in attività per mettere il campo a disposizione della squadra e il “presidente Goetzlof fa rilevare la comodità del nuovo campo di Marassi sia per gli allenamenti che per il pubblico ed informa che i lavori di sistemazione del terreno affidati all’impresa Oneto procedono con soddisfacente alacrità tanto da ritenere imminente l’ultimazione“.

Dal 1911 in avanti si avrà quindi contezza di un calcio vissuto non più solo da bordo campo, ma da predisposte tribune (e più avanti dalle gradinate), luoghi che diventeranno sempre più il ritrovo degli appassionati, delle famiglie, degli uomini come delle donne per le quali il Genoa ha aperto le porte alla possibilità di essere socie del Club già dall’ottobre 1910. Il Club più Antico d’Italia, con questa azione, non solo apre un legame secolare col quartiere di Marassi costruendovi lo stadio dove ancora oggi gioca, ma dà un ulteriore impulso ad un calcio seguito sempre più da vicino, con una sempre maggiore parvenza di fenomeno collettivo. Anche da qui, storia di generazioni e generazioni, nasce la fede di cui oggi qualunque Genoano parlerebbe nel dirigersi al Ferraris. Un nome che, da ormai 88 anni, è sinonimo di Tempio.

E anche qui si potrebbe aprire una parentesi, visti anche gli inciampi giornalistici di qualche mese fa sul tema. Si è molto parlato dello stadio di Napoli intitolato a Diego Armando Maradona, ma l’impianto partenopeo sarà soltanto l’ultimo di una lunga serie di impianti sportivi in Italia e nel mondo dedicati ad ex calciatori. Fra questi impianti, come noto, vi è anche lo stadio del Genoa, il “Luigi Ferraris“, intitolato all’ex capitano rossoblu, Luigi “El Barba” Ferraris, poco meno di ventidue anni dopo la sua inaugurazione, il 1° gennaio 1933, a quasi diciotto anni dalla sua scomparsa.

Luigi Ferraris, nato a Firenze nel 1887 da genitori di natali piemontesi, studiò al Liceo Classico “D’Oria” e crebbe nelle giovanili del Genoa diventandone presto il capitano. Più per carisma e grinta, che non per doti tecniche, raccontano le cronache, ma è innegabile che spesso le prime due doti compensino grandemente la terza.

Giocò quattro stagioni, contraddistinte da coraggio e furore agonistico perfettamente calzanti col suo ruolo di half-back, in grado di esaltarne le doti da “cervello” del centrocampo. Del resto Luigi Ferraris, ingegnere laureatosi al Politecnico di Milano, di progetti e schemi ne tracciava molti, sulla carta e sul campo di gioco.

Decise volontariamente prima di lasciare il calcio, nel 1911, per lavorare alle Officine Elettriche Genovesi (e dopo alla Pirelli). Altrettanto volontariamente prese la decisione di combattere al Fronte durante il primo conflitto mondiale. E proprio la guerra lo portò via, il 23 agosto 1915, sul Monte Maggio, colpito da un proiettile di artiglieria. Una sorte che gli varrà la medaglia d’argento al valore militare, sotterrata a ridosso della Gradinata Nord da quasi un secolo.

Quel 1915 fu un anno funesto per la storia del Genoa, oltre che per le sorti della Prima Guerra Mondiale. Qualche mese dopo la scomparsa di Luigi Ferraris (le cui spoglie sarebbero state riportate a Saluzzo solamente a fine conflitto, nel 1919) arrivò infatti anche quella di James Richardson Spensley, tra i fondatori del Genoa Cricket and Football Club 1893. Morì da prigioniero di guerra a Magonza dopo essere stato catturato dai soldati tedeschi durante un’offensiva a pochi chilometri da Lilla. Ma prima ancora che da combattente perì da medico e fondatore del Genoa Cricket and Football Club e la targa all’incrocio tra Via Giovanni De Prà e Via Clavarezza ce lo ricorda ogni qualvolta troviamo rifugio nella Gradinata Nord.