Dopo la vittoria del Genoa in quel di San Siro contro il Milan (clicca QUI per leggere la cronaca), abbiamo raggiunto telefonicamente Cosimo Francioso, ex centravanti del Genoa, che si è soffermato ad analizzare la vittoria rossoblu (la seconda consecutiva in trasferta), la questione porte chiuse e quella di un eventuale stop del campionato.

Come ha fatto Nicola in nove partite a portare via il Genoa dal terzultimo posto in classifica?

“Ovviamente quando c’è un cambio di allenatore c’è sempre una svolta: evidentemente ha dato tranquillità e sicurezza ad una squadra che era una buona squadra, ma ha cambiato  anche un po’ metodo di gioco, pensando più a non pigliarle. Dopo il primo risultato vi è stata questa sicurezza nella squadra e, sia per un lato che per un altro, i giocatori hanno reagito. Sappiamo che il Genoa non può stare nei bassifondi della classifica: la squadra è stata costruita per rimanere in Serie A, non per lottare fino all’ultima giornata. È scattato qualcosa anche nella mente dei giocatori che si sono resi conto che la situazione stava degenerando, quindi qualcuno ha dato qualcosa in più”.

Ti aspettavi ieri queste due urla da parte del Genoa a San Siro?

“Era una partita già a rischio da giocare ed è stata giustamente giocata se no il campionato non sarebbe finito più: ci sono tanti impegni da portare avanti. L’unica cosa giusta da fare era giocare a porte chiuse, e la Federazione lo ha fatto”.

Adesso sembra però che interrompano del tutto il campionato

“Sta diventando una barzelletta perché non ha senso far giocare una partita e due no. O si pigliano delle decisioni e si portano avanti quelle, altrimenti è inutile. I giocatori si allenano 10/20 giorni, poi devono giocare, poi non lo fanno per un mese: o se decide di continuare a porte chiuse – che sarebbe giusto per poter passare questo periodo e vedere come si evolve la situazione – oppure si deve chiudere direttamente il campionato e passare al prossimo da luglio/agosto”.

Per uno come te, sanguigno, cosa vuol dire giocare a porte chiuse?

“È brutto. Quando si gioca fuori casa è anche un vantaggio per la squadra, ma quando si gioca a Genova a porte chiuse per il Genoa, non avendo il supporto della Gradinata Nord, fa tanto. Secondo me è come se si giocasse una partita amichevole il giovedì contro una squadra di dilettanti: non c’è quel mordente, quella voglia. Specialmente il pubblico di Genova ti dà una spinta in più. Capisco la situazione che provano ora i calciatori giocando a porte chiuse.”

Sette attaccanti con Iago Falque, menomale che è esploso Sanabria. I 38 anni di Pandev non si sentono: è questa ora la fortuna del Genoa?

“In questo momento ben venga Pandev che ha 38 anni, è quello che sta risolvendo un pochettino la situazione in casa Genoa. Questo vuol dire che l’età non conta: l’importante è allenarsi sempre al massimo, stare bene e poi i risultati continuano ad arrivare. È chiaro che gli attaccanti sono fondamentali in qualsiasi squadra: se non segnano loro diventa un po’ più complicato anche per la squadra vincere. In questo momento non importa ‘chi’, ma l’importante è raggiungere l’obiettivo: quello della salvezza”.


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