Cosa farò da grande era il titolo di un album di Gino Paoli uscito nel 1992, due anni prima che in Spagna nascesse il colosso spagnolo MediaPro, oggi implicato in una querelle ben più lunga del previsto per quanto riguarda i diritti televisivi del calcio italiano. Alla finestra stanno club, tifosi e addetti ai lavori: una vastissima platea.

Dopo il secondo turno di votazioni in Lega, tenutosi ieri, MediaPro “corre sempre da indipendente“, come reciterebbe il cantautore genovese nella canzone che diede il titolo al proprio album. Continua a farlo per una motivazione su tutte: perché la nuova votazione non ha portato al raggiungimento del quorum ma ha visto persino abbassarsi da undici a dieci il numero di votanti a favore della risoluzione contrattuale con MediaPro (il quorum si attesta a dodici voti, ndr).

Più il tempo passa, più all’orizzonte si stagliano tre scenari. Il primo è quello di un mal celata insofferenza, specialmente fra quanti si sono astenuti, nel dover rinunciare al miliardo e 50 milioni che MediaPro ogni anno garantirebbe alla Lega prima e, di rimessa, ai club della Serie A. Ma questa non è una novità.

Acquisiscono invece un sapore diverso gli altri due scenari, il primo dei quali preoccupa e complica la situazione aggiungendo un tassello: entro sabato 26 maggio MediaPro potrà presentare ricorso – e lo farà avendolo annunciato già all’indomani del pronunciamento a favore di Sky – alla sezione imprese del Tribunale di Milano. Potrà presentarlo per dimostrare che il bando, quello presentato ad aprile, è in regola e non vìola alcuna norma dell’Antitrust italiana, della legge Melandri e delle linee guida imposte dalla Lega. Dovesse aggiungersi questo tassello al panorama già teso nel quale lunedì prossimo ci si riaggiornerà in assemblea di Lega, ci sarà davvero da domandarsi cosa farà da grande il calcio italiano.

Parafrasando ancora il testo di Gino Paoli, MediaPro aveva almeno cinque convinzioni in più del protagonista della canzone. MediaPro non è certo “figlio” del calcio italiano, ma piuttosto del prodotto calcio spagnolo, tuttavia il colosso iberico progettava di poter intanto produrre e fornire pacchetti “chiavi in mano” da 270 minuti di immagini e contributi, con pubblicità già inserite dalla stessa MediaPro e contenuti personalizzabili solamente pagando un secondo pacchetto slegato dagli altri, e successivamente di poter imprimere sul calcio italiano orari, calendari e assenza di reali esclusive sugli eventi sportivi. Erano progetti varati già da anni nella Liga spagnola. Col canale della Lega sempre da parte, in un angolo, ma mai realmente accantonato: potrebbe infatti essere il progetto che tradurrebbe in realtà il monito latino in medio stat virtus. E si parlerebbe di una “virtù” da oltre tre miliardi di euro in tre anni.

Pur mancando ancora la fideiussione su questa cifra stratosferica e vitale per il mondo del palline italiano (fideiussione volutamente non presentata da MediaPro che aveva fiutato l’appropinquarsi delle nubi all’orizzonte, con Sky in prima linea con ricorso in pugno), quello del canale potrebbe proprio essere lo scenario per salvarsi in corner laddove lunedì prossimo, ormai al limitare di maggio e alle porte di giugno, non si dovesse ottenere una risoluzione del contratto con MediaPro. Il colosso spagnolo, che nel frattempo vive una transizione delle proprie quote societarie essendosi visto acquisire oltre il 53% del proprio pacchetto azionario dal gruppo cinese Orient Hontai Capital, ha giocato un’ultima carta promettendo che entro luglio stanzierà un deposito di circa 390 milioni in garanzia, che andrebbero a sommarsi all’anticipo versato il 26 marzo scorso a titolo di acconto sui diritti televisivi (50 milioni). Numeri che si aggiungono ad altri numeri nell’attesa di un ulteriore passaggio istituzionale fissato per lunedì prossimo: “basta non essere certi mai” scriverebbe Gino Paoli.

Manuale MediaPro, un kolossal partito dalla Spagna e abbattutosi sull’Italia del pallone