Vi ricordate che nell’ultima nostra puntata della rubrica “Amarcord” Renzo De Vecchi ci aveva raccontato la prima trasferta della Nazionale italiana in Ungheria? Oggi ripartiremo in ordine cronologico da Vittorio Pozzo (1886-1968), uno di quegli uomini che al calcio e al suo sviluppo hanno assistito da vicino, provandone le emozioni sulla pelle. E vivere il calcio sulla propria pelle, in Italia, ad inizio Novecento, significava parlare di Genoa.

Pozzo non solo fu commissario unico della Nazionale italiana di calcio, rappresentativa con la quale vinse i Mondiali del ’34 e del ’38, ma anche giornalista sportivo e, malgrado i natali piemontesi, un Genoano acquisito con la voglia (la domenica sera) di andare a cercare per primo sempre il risultato del Vecchio Balordo. Da qui prende corpo la sua delicata, poetica e sentita descrizione del Genoa compiuti i suoi primi sessant’anni di vita, oggi già “doppiati”:

Eri un po’ chiuso in Te, allora, caro vecchio Genoa, ed avevi l’aria un po’ austera, un po’ diretta. Eri, in un certo senso, alquanto difficile da avvicinare. […] Come posso fare io a non voler bene a questo Genoa, che porta sempre la bandiera di una volta?