Dalla scorsa domenica abbiamo cercato di raccogliere giorno per giorno il pensiero sul campionato del Genoa, concluso dalla seconda salvezza all’ultimo respiro di fila, e lo abbiamo fatto contattando colleghi, ma anche ex rossoblu, tecnici, uomini di calcio.

Ne è scaturito un minimo, comune denominatore: per evitare un’altra stagione come quella passata serve programmazione. Andiamo ripetendolo da un po’, anche prima di queste interviste, ma è la parola che ha fatto capolino di più. In varie declinazioni, dal saper creare una squadra dalle fondamenta senza smontarla ogni sei mesi al saper dare fiducia ad un allenatore senza dargli la sfiducia alla prima difficoltà, dicendo basta – e questa volta per davvero – ad un calcio e ad una gestione societaria fatti di plusvalenze. E tutto questo al Genoa manca da anni.

Il Genoa è stato negli ultimi anni un disastro manageriale dell’area tecnica e, quantomeno a parole, la volontà di rifondazione ci sarebbe, ma lascia perplessi che abbiano fatto fatica così tanti direttori generali, direttori sportivi e allenatori.

Le colpe sono sempre ricadute su di loro, e questo perché nessuno ha mai scoperchiato il Vaso di Pandora del calciomercato, rimanendo al coperto di un ingaggio pluriennale. Sono stati fatti acquisti non all’altezza del campionato di Serie A, spesso con contratti di lunga durata. Chi ha permesso di fare e proporre questo genere di acquisti o di ingaggi deve farsi un esame di coscienza calcistico e capire se le sue sono qualità da conoscitore di calcio oppure da mercante al calciomercato.

In tutto questo Preziosi, al vertice dell’area tecnica, ha contribuito coi suoi “calciomercato” frutto di acquisti sbagliati e anche costosi. Gli allenatori non erano perdenti, ma nel tritatutto genoano per colpa di un mercato a casaccio sono solo riusciti, specialmente chi è arrivato per l’ultimo a Pegli, a salvare il Genoa all’ultima giornata di campionato.

Gli allenatori passati da Pegli hanno provato a tappare i buchi enormi, ma avevano nel complesso pochi buoni calciatori e molte difficoltà nella costruzione di un gioco, di una identità. Eccetto Gasperini e Ballardini è stata difficile per tutti.

Proprio perché è ritornata forte la parola programmazione, accompagnata dal dare un taglio netto e definitivo ad un calcio che sia solo business, la rosa del Genoa prossimamente sarà da rifondare. Il centrocampo genoano è troppo similare nelle caratteristiche lente dei protagonisti e ha fatto fiasco, avendo poca vivacità e offrendo poca protezione alla difesa e scarse risorse agli attaccanti, che al Genoa sono assenti da qualche anno.

Agli allenatori delle ultime due stagioni sono mancati difensori che sapessero giocare il pallone, player in grado di dare i ritmi di gioco, esterni duttili che sapessero correre senza pallone in avanti (può darsi per non colpa loro dovendo fare i quinti di difesa). In particolare è mancato chi pensava calcio nel cuore del gioco. È risultato tutto difficile anche per Schöne e si è fatta fatica a trovare qualcuno che vedesse la porta allineandosi in doppia cifra nella classifica marcatori.

Andreazzoli, chiamato per dare un gioco e una identità, è stato licenziato con la motivazione dei di risultati andati male, non con la motivazione delle prestazioni. Tutto è cominciato da Cagliari alla quarta di campionato, ma dopo che fu ingaggiato non ci furono pareri discordanti anche se arrivava da squadra retrocessa. La sfortuna di Andreazzoli è stata più che altro partire bene e dare illusioni.

Andreazzoli preso come maestro di calcio se n’è andato via da alunno dietro la lavagna, delegittimato dopo l’allontanamento – a sua insaputa – del preparatore Chinnici senza che lo potesse difendere. Decisione che lo ha portato a perdere carisma dentro lo spogliatoio.

Per quanto riguarda Thiago Motta, anche lui non ha nessuna colpa. È stato chiaro: chi l’ha ingaggiato doveva sapere che non avrebbe mai utilizzato un modulo difensivo presentandosi con il 2-7-2 con il portiere a centrocampo. Modulo da bluff giornalistico, ma provato con altri numeri, anche lui senza risultati ma con identità.

È poi arrivato Nicola e ha fatto il miracolo di salvare il Vecchio Balordo. Senza Covid la avrebbe centrata prima. Ha trovato una posizione a Radovanivic da mezzala e non da player, ha rispolverato Sanabria da “plusvalenza”, mentre Sturaro perseguitato dalla sfortuna è riuscito ad aiutarlo solo in parte, visto che poi non sarebbe stato “aiutato” da altri infortuni che gli avrebbero messo messo i palloni fra le ruote. Il post-Covid è stato difficile per tutti i calciatori, figurarsi per quelli che arrivavano da lunghi stop fisici oppure da lunghi fermi calcistici.

Oltre l’area tecnica, al Genoa non ha funzionato la comunicazione con un Grifone da “clausura”. Tutto è iniziato dal primo giorno di ritiro in Austria lo scorso luglio con l’assenza di personaggi, pur non importanti ai fini dei risultati ma sempre presenti, che hanno scatenato illazioni senza nessuna prova. Bastava comunicare il cambio di forze lavorative per rinnovamento se non si volevano motivare i cambiamenti.

Quello scritto non è matematica, ma 2+2, un’addizione che difficilmente al Genoa negli ultimi anni ha fatto quattro.