Sebastiano Vernazza, firma della Gazzetta dello Sport, ha vissuto da lontano questo finale di Serie A essendo impegnato sul fronte del ciclismo. Sport affascinante, dove tutto si traduce in fatica e sudore. La sua prima esperienza al Giro d’Italia non ci è passata inosservata e ce la siamo fatti raccontare, tracciando qualche parallelo col calcio. Due sport molto differenti, l’uno ancora intriso di genuinità e l’altro che ha sollevato più muri di quanti non ne abbia abbattuti.

Cosa ti porti dietro dalla tua prima esperienza al Giro d’Italia?

“Un’esperienza bellissima sul piano professionale. Molto stancante perché ogni giorno devi spostarti da un posto all’altro, ma molto appagante. Hai un accesso agli atleti molto differente rispetto al calcio: puoi parlare con loro praticamente sempre, quando hai bisogno, in maniera rilassata. Non ci sono le tensioni ed i muri che ci sono nel calcio. I ciclisti sono proprio a contatto fisico coi tifosi, con alcuni eccessi come quando l’altro giorno un tifoso sloveno ha abbattuto il povero Lopez. Ma è un ambiente diverso: tutto più umano e semplice”. 

A Verona hai incontrato qualche tifoso ecuadoriano del vincitore Carapaz che tifava Genoa

Sì, ieri all’arena di Verona c’era pieno di tifosi ecuadoriani per Carapaz. Tutti residenti in Italia. Ce n’era anche uno che abitava a Genova, a San Teodoro, di 48 anni, che mi ha detto: “faccio il camallo”. Anche per dire cosa significa integrazione…Per lui e per gli altri ecuadoriani Carapaz ha rappresentato non una rivincita, ma un riconoscimento. Un modo per dire “ci siamo anche noi”, come successo anche a tanti emigrati italiani in America quando si esultava per una vittoria di Coppi o Bartali. Sono davvero molto integrati in Italia e per loro la vittoria di Carapaz è stata qualcosa di importante, quasi vitale”.

Cosa potrebbe prendere il calcio dal ciclismo per ritornare più genuino?

“Ero al mio primo Giro d’Italia e ho percepito, rimanendo colpito, la predisposizione e l’attitudine alla fatica. Un’attitudine che potrebbero ereditare anche i calciatori. Oggi nel ciclismo si parla molto di ruote elettromagnetiche, sospettando che qualcuno faccio uso di ruote non proprio motorizzate, ma quasi. Ruote che sfrutterebbero il sistema elettromagnetico. Ora, il ciclismo negli ultimi anni ha scoperto con le mani nella marmellata campioni come Armstrong. La fatica che i ciclisti fanno tutti i giorni, però, si vede, soprattutto oggi. E se ne vedono la predisposizione, il sudore vero. Per dire, sulla tappa del Mortirolo quest’anno c’è chi ci ha lasciato davvero tutto. Secondo me, questa attitudine alla fatica a molti calciatori manca”.

Nel ciclismo i giovani vengono buttati nella mischia, forgiati prima da questa attitudine alla fatica, e se ne vedono sempre molti. Nel calcio succede un po’ meno

“Il ciclismo è un po’ diverso dal calcio, nel senso che nel ciclismo se vai forte, ti fanno correre. È molto più semplice. Il calcio è più complesso: è uno sport di abilità, con una componente tattica fortissima. Ci sono tutta una serie di incastri per cui o sei Messi, Ronaldo e Maradona e allora marchi una differenza tale dagli altri che non c’è neppure da discuterne, oppure devi confrontarti con tantissime variabili che possono condizionarti”. 

Ritornando brevemente al calcio, ti aspettavi che il Genoa dovesse salvarsi all’ultima giornata?

“No, non me l’aspettavo. Con Piatek in squadra mi aspettavo piuttosto, come spesso detto, anche l’Europa League. Avevi trovato un centravanti da 20/25 e chi ha un centravanti così può e deve andare in Europa League: non mi spiego, ad esempio, come abbia fatto a non farcela la Sampdoria con Quagliarella. Mi sono illuso che Prandelli, grazie alla sua attitudine al bel gioco, potesse ovviare alla partenza del centravanti. Invece la sua è stata un’esperienza semi-fallimentare e il Genoa si è salvato senza averne troppi meriti. Se proprio dobbiamo parlare sotto l’aspetto tecnico e tattico, l’Empoli degli ultimi due mesi avrebbe meritato di più, dal ritorno di Andreazzoli in poi. A questo punto c’è da fare chiarezza sul fronte societario. Bisogna capire se Preziosi resta o no, se abbia voglia – e quanta – di continuare. E se dovrà vendere la società, dovrà farlo in fretta per permettere a chi subentra di fare mercato. Sicuramente questa è stata la peggiore stagione in Serie A della gestione Preziosi. La salvezza comunque è stata centrata in qualche modo, ma la fortuna ti aiuta una volta. La seconda no”. 

Un tuo bilancio generale sul campionato invece?

“Il campionato è durato tre mesi, giusto il tempo che Cristiano Ronaldo portasse la Juventus ad un distacco tale da vincere con largo anticipo lo scudetto. Non ha detto granché: Ronaldo ha fatto la grande differenza in Serie A, ma la Juventus non aveva bisogno di questo CR7 per vincere il suo ottavo scudetto di fila, che sposta e cambia poco. La Juventus è mancata in Champions”.