“Da italiano mi interrogherei sul perché oggi nelle difese della Serie A ci sono così tanti stranieri. La scuola che ha fatto grande il vostro calcio nel mondo è quella dei portieri e dei difensori: per vincere servono le fondamenta“. Parole di un italiano d’adozione, come Zbigniew Boniek, rilasciate due giorni fa alla Gazzetta dello Sport. Parole che concludevano una breve intervista per il 90 per cento incentrata su Piatek, per un 10 per cento sul calcio di Polonia. Un serbatoio di giocatori comunitari, a basso prezzo e facilmente adattabili al gioco italiano per indole e carattere, che prelevati ormai sistematicamente hanno creato in Serie A, così come nel resto d’Europa dove storicamente sono consolidati, un folto gruppo nazionale. In Italia sono sedici, Piatek su tutti, e sono il quinto gruppo dopo Brasile (34), Argentina (29), Croazia (18) e Serbia (17).

Per vincere servono le fondamenta” è probabilmente la frase chiave dell’intervista, questo perché per costruire qualsiasi progetto, che sia di vita, d’amore o di calcio, necessitano le basi. Non a caso esce dalla bocca dello stesso Boniek, presidente della Federcalcio polacca da sei anni e uno dei promotori della riduzione a due extracomunitari al massimo da schierare titolari nelle squadre della Serie A polacca. Un incentivo forte, dal 2016, a schierare giocatori di casa propria, quelli cresciuti dagli affollatissimi settori giovanili di un paese che sfiora 40 milioni di abitanti. Ma la mossa della nazionalizzazione del calcio polacco, che dalle fondamenta lavora sulla promozione di un calcio quadrato, improntato su grandi doti fisiche e atletiche oltre che sulla freddezza caratteriale di ogni singolo calciatore, è solamente la punta di un iceberg che mira a rafforzare la produzione di giovani talenti da impacchettare e spedire in giro per il mondo.

 

Le imprese della Polonia, specialmente in un Mondiale di calcio, vanno dal 1938 al 1982, intervallate dalla medaglia d’oro dei Giochi Olimpici 1972 a Monaco grazie alla vittoria sull’Ungheria. Per quanto sia patria di un calcio che quest’anno compirà cent’anni dalla creazione della sua federazione (la PZPN, ndr), a voler trovare un periodo decisivo per la rinascita del calcio polacco è forse da collocare dopo la vittoria del campionato europeo Under 18 nel 2001 e il poco radioso Mondiale 2002 in Korea. Una Coppa del Mondo, quest’ultima, che la nazionale polacca ritrovava dopo vent’anni, da quella di Spagna ’82 che si tinse d’azzurro e che vide la Polonia piazzarsi al terzo posto sconfiggendo la Francia. Di quella formazione, solamente due giocatori militavano in Seria A (Zmuda nell’Hellas Verona, Boniek nella Juventus). Di quella del Mondiale 2002, solamente uno e si trattava di Marek Kozminski all’epoca centrocampista dell’Ancona. Gli altri, a distanza di vent’anni, militavano o in Germania o Francia o nel proprio paese. Solo in quattro casi sporadici si ritrovano giocatori polacchi in Messico, Turchia, Inghilterra e Grecia.

Oggi è inevitabile constatare che qualcosa è cambiato. I polacchi sono ovunque e sono profili seguiti da vicinissimo in sede di calciomercato. Le spiegazioni di questo sviluppo sono, tutto sommato, di facile lettura. Boniek, ad esempio, ha spesso parlato di cicli che vanno assecondati con la promozione dei giovani cresciuti nei vivai. Visto che se nasci col talento, come di frequente sta accadendo in Polonia, col talento cresci e col talento muori. Il suo connazionale Zmuda, un passato tra Hellas Verona e Cremonese, ha ricondotto invece la crescita del calcio polacco non soltanto alla cura dei talenti, che spesso trovano ingaggi all’estero sin dalla tenera età come accadde a suo tempo per Sczezsny all’Arsenal, ma anche alla crescita economica – e solo in parte demografica – di cui il paese ha giovato negli ultimi trent’anni. Da quando la Polonia ha conquistato il bronzo mondiale nel 1982, il prodotto interno lordo del Paese si è infatti moltiplicato di otto volte e, dettaglio da non sottovalutare, l’Europeo di calcio 2012 condiviso con l’Ucraina ha permesso investimenti ingenti per creare centri sportivi, nuove strutture d’allenamento e stadi altamente all’avanguardia in quattro delle maggiori città del paese (Varsavia, Breslavia, Poznan, Danzica). Poi c’e stata la contraddizione di chilometri di strade non terminate per raggiungerli questi stadi, è vero, ma alcune zone rimangono tutt’oggi dei veri gioielli.

Altrettanto vero che la Polonia del 2012 non piacque moltissimo ai tifosi. Specialmente per alcuni giocatori naturalizzati, come Perquis e Boenisch, e forse perché di alcuni calciatori si aveva poca conoscenza, giocando essi in larga parte fuori dal Paese e in campionati o club non di blasone. A differenza delle nazioni che si raggiungevano negli anni precedenti, in quell’annata i calciatori polacchi giocavano chi in Belgio, chi in Olanda, chi in Scozia, chi in Russia. Non troppo soddisfacente fu il cammino nella competizione, neppure con l’astro nascente Robert Lewandowski fresco della seconda vittoria consecutiva della Bundesliga con la maglia del Borussia Dortmund di Jurgen Klopp. Una formazione, quella giallonera, che aveva altri due giocatori polacchi come titolari inamovibili: Łukasz PiszczekJakub Błaszczykowski.

Fu proprio la delusione a fare propendere per un cambio al vertice della federazione: addio a Grezgorz Lato, primo polacco ad emigrare nel calcio messicano nel lontano 1982, e un caloroso benvenuto a Zbigniew Boniek, sino a quel momento vice presidente. Boniek fallirà l’accesso al Mondiale 2014, ma centrerà quello ad Euro 2016 (quarti di finale) e Russia 2018 (uscita alla fase a gironi). Inframmezzando il tutto, sempre nel 2016, col ritorno di una formazione polacca, il Legia Varsavia del futuro blucerchiato Bartosz Bereszyński, in Champions League. Tutti segnali di un calcio in espansione, popolare per vocazione e per cultura. Chiamato a fare ancora molto per entrare nell’èlite.

Perché la storia della Polonia calcistica è chiara. Alcuni acuti sono rimasti nella storia, alcuni giocatori si sono affermati a livello internazionale, soprattutto nella storia recente. Ma la stabilità e la continuità sono spesso mancate. Oggi le mosse conservatrici della Federazione, volte ad incentivare la promozione di giocatori polacchi, non solo altro che la risposta di un mondo che ha finalmente conosciuto le sue potenzialità alla continua importazione di giocatori dall’estero. Oggi solo tre giocatori su dieci (32,7%) sono stranieri nella Ekstraklasa, campionato polacco, e continua ad assestarsi intorno ai 25 anni l’età media dell’intero torneo. Trainata al ribasso da profili come Gumny e Zurkowski, accostati anche al Genoa e ritenuti tra i giovani emergenti del calcio polacco.


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