Occorrono certezze, occorrono date. Non solo sapere se sarà possibile finire la stagione 2019/2020, ma anche quando inizierà la successiva. Basta paventare date da parte della FIGC e del Ministro dello Sport nel dare risposte. Basta fare calendari e ipotesi. L’unica verità ad oggi è che il calvario di notizie continuerà fino al giorno 18 di maggio e forse anche quel giorno non si avranno certezze. Tra un annuncio e un altro, tra un’intervista e un’altra, potrebbero diradarsi o addensarsi le nubi entro questo fine settimana, quando sia Spadafora che il presidente AIC Tommasi annunciano una risposta sul protocollo sanitario degli sport di squadra, calcio compreso.

Occorrono certezze e occorrono date perché non si possono tenere i muscoli di calciatori  professionisti fermi per 4/5 mesi. Le società devono programmare la fine di quella giocata a metà con allenamenti che mettano in moto fisicamente la macchina calciatore, dopodiché dare le ferie se non gioca e dopo ripartire. Il calcio non può essere considerato come lo smart-working o essere catalogato nella fantasia TV dei preparatori  atletici nel farlo rendere più fruttifero.

Quando si riparte? A giugno oppure a settembre-ottobre? O quando ci sarà il vaccino?  In Francia il campionato è sospeso e i giocatori e le società sanno che dovranno prepararsi  per il primo settembre. Vero anche che lo scenario francese era molto differente da quello italiano: Canal+ aveva il contratto sui diritti televisivi in scadenza, essendo dalla stagione 2020/21 assegnati a MediaPro, e che le cifre in ballo erano minori. Pur vero che, presa coscienza di avere addirittura un calciatore della Ligue1 in terapia intensiva, la scelta è stata presa con una certa rapidità. Ci saranno ricorsi, quello del Tolosa su tutti condannato a retrocedere per media punti, e non mancano le recriminazioni delle squadre impegnate in Champions League (PSG e Lione) dovranno capire come muoversi per tenersi in caldo. Detto ciò, ora lo scenario è tracciato e la mano pesante è stata del Governo.

In Italia i giocatori del campionato di Serie A non parlano e non partecipano al dibattito come i colleghi di altri campionati, come Spagna, Inghilterra, Germania. Perché? Quelli della Liga non si fidano e chiedono: “diteci qual è il rischio vero”. Il loro sindacato calciatori non ha dato il suo assenso al protocollo stabilito dalla Commissione sport, che sembrerebbe non avere il visto del Ministero della salute Spagnolo. In Inghilterra la Premier League dovrebbe ricominciare il 15 giugno, ma attualmente si deve superare l’opposizione dei calciatori, un numero sempre più crescente. spaventati dall’idea di tornare in campo per loro e loro famiglie. Forse neppure l’idea di giocare. Non piace neanche ai giocatori della Premier giocare 92 partite in campi neutri a porte chiuse, neppure se ciò dovesse accadere in…Australia (Perth si è candidata ad ospitare le restanti partite del campionato inglese).

E poi si arriva in Germania, dove i dirigenti del calcio hanno cantato Uber Alles: Germania sopra tutto e tutti fino a ieri, anche se la Bundesliga per partire aspetta l’OK del Governo, rimasto spiazzato dai 10 positivi tra massimo campionato e serie B tedesca dopo la prima serie di tamponi e dalla “ribellione” di Salomon Kalou dell’Herta Berlino. Dopo i tre contagiati del Colonia in quarantena non ci andrà solamente l’infettato e la su famiglia ma tutta la squadra.

Il calcio italiano è rimasto nella fantasia di qualche dirigente da metà marzo e il Ministro dello Sport non perde occasione per metterlo in corner o dietro i pali delle porte (e questa mattina lo davano in “fuorigioco” diversi quotidiani).

Dal protocollo di ieri sugli allenamenti individuali e collettivi del Ministero dello sport italiano  ci si aspettava qualcosa di più concreto da parte dell’ISS (Istituto Superiore della Sanità), dell’FMSI (Federazione Medici Sportivi Italiani) e dal Comitato Tecnico-Scientifico. Ci si aspettava qualcosa di più sulla rigorosità nel riconoscere i danni o gli strascichi che il virus potrebbe lasciare sul fisico degli atleti già infettati e asintomatici, che dopo i tamponi usciranno a galla, e anche sulla la gestione di eventuali nuovi contagi non solo durante gli allenamenti ma nel corso del campionato. Invece si sono lette soprattutto le solite norme della distanza e dell’igiene personale, l’unica arma vera per combattere il Covid 19.

Altre domande si fanno spazio leggendo il protocollo. Intanto perché non si sono coinvolti i medici sportivi di calcio? La risposta potrebbe essere perché il protocollo di ieri è destinato solamente agli sport individuali (con un’apertura agli sport di squadra, che andranno però affrontati a parte). Vero, ma in realtà resta il dubbio, anche ascoltando il Professor Castellacci, che non sia affatto la prima volta che venga messo da parte il loro punto di vista. Mentre all’interno della commissione ritroviamo Massimo Galli, primario dell’Ospedale “Sacco” di Milano fra i primi ad aver battagliato per dire che il Covid-19 era tutto tranne che una semplice influenza, oppure Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che lo scorso 25 marzo spiegava un concetto fondamentale da cui lo sport, non solo il calcio, non potranno prescindere considerato che lo scenario non è profondamente cambiato.

La tamponatura intesa come screening della popolazione è semplicemente infattibile. Perché infattibile? Si pensi a cosa bisognerebbe fare per capire esattamente chi viene infettato. Sessanta milioni di italiani, sessanta milioni di test oggi. Se la gente viene esposta oggi, domani potrebbe diventare positiva. Quindi ripetiamo altri sessanta milioni di test. E la stessa il giorno successivo, e ancora quello dopo. Gli esclusi da questa tamponatura resterebbero solamente quelli che risultano ancora positivi. Sapete cosa vuol dire fare una cosa del genere ogni giorno? I tamponi vengono fatti in maniera non generalizzata, ma su un cluster di popolazione a rischio. I casi sospetti, i contatti dei casi sospetti e dei casi conclamati: questa è la disposizione data anche dall’OMS”.

L’altra domanda, che scaturisce anche da questo virgolettato, è sicuramente che cosa intenda l’allegato 4 del protocollo quando parla di “altro test rapido validato” in alternativa al tampone. Si tratta del prelievo sul dito di una macchiolina di sangue, che con reagente restituisce l’esito in pochi minuti? Si tratta di veri e propri esami del sangue? Si tratta di altre tipologie di test? Sarebbe stato meglio specificarlo, così come sarebbe stato meglio specificare con quale cadenza vadano effettuate le sanificazioni all’interno di centri sportivi, per ogni singolo attrezzo utilizzato, per ogni indumento sudato e lasciato in apposita lavanderia. Se non altro perché una sanificazione nel rispetto dei protocolli (pagina 13) ha un costo, e questo costo reiterato nel tempo diventerà una variabile fondamentale per fare sì che le società sportive ripartano in sicurezza oppure non ripartano proprio. Il rischio, evidentemente, è quello di una “discriminazione” e di una “falsa partenza” tra chi ripartirà prima e chi dopo. O chi proprio non lo farà.

È quasi lapalissiano che la ripresa del pallone che rotola ruoti attorno al rebus sanitario non solo sugli allenamenti, ma sulle partite. Per i club la ripresa del pallone ruota anche attorno alla parte economica: ieri i bonifici dell’ultima rata di Sky non sono arrivati e DAZN ha chiesto di pagare in tre rate se riparte la stagione 2019/2020. Le genti italiane – e non solo per il calcio – vorrebbero fare domande e avere risposte nette per capirci meglio. “Ai posteri l’ardua sentenza“, come scriverebbe oggi il buon Manzoni.