Giro di boa al grido delle previsioni sbagliate. Il calcio non è fatto di promesse, ma di pianificazione. Non aver pianificato a dovere o ripetendosi negli errori significa, col livello dell’attuale Serie A, faticare in classifica. Il Genoa è caso emblematico: da possibile sorpresa, pur con le attenuanti di non esser smantellato a gennaio, ad assoluta delusione in parabola discendente. Unica sorpresa aver fatto peggio dell’annata precedente nell’arco di un solo girone. Lì sta la novità.

Se ne sarebbe fatto a meno di bilanci sommari a metà stagione, se non altro perché il 3 settembre scorso, il giorno dopo la chiusura del calciomercato durato quasi due mesi e mezzo, si parlava sui quotidiani locali e nazionali di ravvedimento sulla via di Damasco per il presidente Preziosi alla luce delle scelte di calciomercato. Quella estiva appariva una rivoluzione annunciata, ma ponderata: via gli esuberi, dentro giocatori funzionali al progetto Andreazzoli. Si parlava anche di rinascimento per la Fiorentina, di ritorno al classico 4-3-3 per il Milan di Giampaolo, di Napoli da scudetto alla seconda stagione di Ancelotti. E chi più ne ha, più ne metta.

La squadra data in mano ad Andreazzoli sembrava convincere. Noi stessi, girata l’Europa dalla Francia all’Austria per rendercene conto da vicino, avevamo scritto che in estate si era suonata una musica differente dopo lo spauracchio di Firenze. L’unica vera postilla (non bocciatura) che avevamo sempre inserito era sul reparto offensivo, a partire da Neustift e dalla prima uscita austriaca sotto gli occhi di un altro trentino come Carlo Odorizzi: non caricare Pinamonti, in gol fin dalla prima trasferta dell’Olimpico, delle medesime aspettative caricate l’estate prima su Piatek.

A suon di gol, rimonte in amichevole, un silenzio all’epoca gradito (oggi parecchio preoccupante) e qualche acquisto dai semifinalisti di Champions, il calcio di fine estate era riuscito a riavvicinare la tifoseria, con l’esodo in scooter a Chiavari per la gara di Coppa Italia con l’Imolese che resterà a prescindere una delle cartoline più belle di un 2019 avarissimo di soddisfazioni per i Genoani.

In settembre, fa quasi impressione scriverlo, nel Genoa il solo Romero risultava alla voce “cessione” assieme con gli elementi che oggi fanno le fortune – o meno – in altre squadre. Da Lazovic a Günter, da Veloso a Lapadula. Per non parlare degli innesti arrivati con la targhetta del prezzo sulle spalle, come Jaroszynski, e che questa targhetta se la sono sempre tenuta addosso sino a nuova destinazione (nello specifico la Salernitana).

La media voto rossoblu da parte dei quotidiani sportivi nazionali era 7 meno, con la fotografia di Schöne a raffigurare la cifra del mercato estivo rossoblu. Addirittura il 4 settembre la Gazzetta dello Sport parlò di Genoa con “opzione Europa”. Ieri scriveva di “pianificazione salvezza” a soli 132 giorni di distanza: un lasso di tempo dove, in un assordante silenzio, il presidente Preziosi si è sempre tirato indietro nel metterci la faccia (ultima intervista il 20 agosto 2019 al ritorno del Genoa nel centro sportivo Signorini in rifacimento) in una situazione che precipita da ottobre senza soluzione di continuità. Parlano per lui le sole 5 vittorie nel 2019 ed i record negativi inanellati uno dietro l’altro.

La soluzione ricorrente ai problemi, per la sesta volta in dodici mesi, la si è cercata nei vari tecnici che si sono avvicendati, ma non è servito. Barreca, Schöne e Pinamonti, tanto per dirne tre, erano l’immagine della rinascita rossoblu dopo l’annata fallimentare 2018/2019 e la promessa non mantenuta del “una stagione così non accada mai più“. Nulla di tutto questo è stato confermato dal campo, dove scendevano i numeri partoriti in estate. Oggi questi numeri sono cresciuti prendendo una deriva tutt’altro che positiva: 14 punti, 11 sconfitte, 38 gol subiti, 2 sole gare a porta inviolata, 193 milioni di plusvalenze nel decennio e un mercato di soli prestiti, oltre 20 giocatori cambiati a stagione nell’organico rossoblu.

Non sono passati neppure quattro mesi e mezzo dalla promozione mediatica del Grifone e il Genoa è terzultimo a giocarsi un mini-campionato a quattro con due neopromosse e la Spal, una delle poche conferme dei pronostici estivi. Nessuno la aveva premiata con la sufficienza e ora, infatti, è ultima in classifica, portando la croce di non aver mai davvero sostituito l’uomo che a Ferrara faceva la differenza: Manuel Lazzari.

Ma Spal e Genoa non sono certo le uniche gaffe estive. Grosse sviste anche sul Brescia, che per il solo acquisto di Balotelli, l’idolatria mediatica per un talento come Tonali (che talento è, e quando manca come domenica al Ferraris si sente eccome) e la convinzione che le frizioni Corini-Cellino sarebbero state sopite si era guadagnato lo stesso voto del Genoa (7). Verrebbe da dire che, effettivamente, a stesso voto corrisponde stessa posizione di classifica, visto che oggi i rossoblu sono avanti solamente per lo scontro diretto e Brescia e Genoa sono anche state fra le prime squadre della Serie A ad esonerare i loro tecnici dopo Sampdoria e Milan.

Inutile dire che, tolte le previsioni sulle big (compresa l’Atalanta) e sul Cagliari, ora più vicino a ridimensionarsi rispetto al 6,5 estivo (ieri sera in Coppa Italia è arrivata la quinta sconfitta di fila e qualcuno chiede la testa di Maran), la più grande insolazione settembrina sia stata l’Hellas Verona. Non convinceva l’accozzaglia di calciatori messa assieme dal club scaligero, in larga parte fatta di scarti del Genoa, di conferme dalla cadetteria e di scommesse sui giovani. Oggi però quest’accozzaglia è ambita: Kumbulla e Rrahmani, tanto per fare due esempi lampanti, sono difensori moderni, con gamba e tecnica per partecipare anche alla fase offensiva: inevitabile che piacciano a tante squadre e che Juric si prenda il merito di aver creduto in loro lanciandoli nella mischia in Serie A. Un azzardo ragionato che lo fa girare a 25 punti a sole quattro lunghezze dalla zona Europa.

Ah, il calciomercato. Lo riducessero a due settimane eviterebbe tante grane e molte meno speculazioni: tutti focalizzati sui reali obiettivi e buonanotte ai suonatori.  Dilatando troppo i tempi, infatti, si rischia, in preda alle nuove ere Commisso e ad investimenti come Ribery o quello più oneroso della storia del Napoli (Lozano), di inserire magari viola e partenopei tra le squadre rivelazione, scoprendo poi che si barcameneranno senza infamia e senza lode. Anzi, con più infamia che lode. Lì nel limbo, nell’anonimato della classifica.

Sarebbe interessante capire quanto questo calciomercato lo abbiano spostato i soldi, quelli veri, e quanto le plusvalenze fittizie che lo tengono vivo o le consulenze di calciomercato che bypassano scouting e riflessioni di natura tecnica. Fatto sta che per la prima volta, l’estate scorsa, la Serie A ha sfondato un miliardo di euro di movimentazioni e ha riscoperto la comproprietà sotto il nome spagnoleggiante di recompra o quello un po’ più british di gentlemen’s agreement.

Di fronte a tutto questo marasma di formule, voti e considerazioni anticipate non deve sorprendere che diversi volti di copertina dei vari mercati (Rigoni per la Samp, Rebic per il Milan, Verdi per il Torino, Imbula per il Lecce, lo stesso Schöne per il Genoa) siano tra le maggiori delusioni di questo girone d’andata. Sul gradino più alto del podio vogliamo però metterci Nahitan Nandez del Cagliari, che vi finisce non certo per le sue prestazioni in campo: partito a razzo coi sardi, è finito al centro di una battaglia legale per i suoi diritti d’immagine che culminerà il 14 febbraio 2020, quando l’uruguaiano porterà in tribunale la società in cui gioca attualmente lottando per l’Europa League. Fantascienza assoluta in un calcio che è sempre più immagine e denaro a discapito di intensità, gioco, emozioni.

Provano a stemperare questo clima di pressappochismo non soltanto le tifoserie, che in larga parte si sono accorte del gioco al rialzo e iniziano a boicottare scientemente le trasferte (in ordine di tempo, l’ultima protesta è stata dei tifosi del Parma in trasferta a Bergamo), ma poche squadre. Si possono contare sulle dita di una mano. Al primo posto c’è indubbiamente l’Atalanta di Gasperini, su cui ripetersi sarebbe superfluo.

Alla Dea è persino stretto quel sei e mezzo tirato che la stampa sportiva le affibbiava ad inizio settembre. Meritano uno spazio a sé anche il Parma, che chiude al settimo posto con 28 punti il suo girone d’andata e conferma quanto di buono fatto vedere già la stagione precedente sotto la guida D’Aversa, e anche la Lazio, unica squadra a non aver cambiato quasi nulla, ripresentandosi con la stessa formazione dell’anno passato. I biancocelesti avranno i loro santi in Paradiso, ma se oggi possono lottare per lo scudetto è anche perché hanno confermato Simone Inzaghi in panchina, pur avendo Lotito masticato per lungo tempo l’idea di esonerarlo. Una storia lunga, nata quasi per caso dopo il gran rifiuto di Bielsa, che conferma come la pianificazione a lungo termine, alla fin fine, paghi sempre.