Il campionato di Serie A se ne va in pausa non senza polemiche sul VAR. Quelle in realtà ci accompagnano da tre stagioni e mezzo, da quel 19 agosto 2017 quando Juventus-Cagliari, primo turno di campionato, introdusse all’utilizzo della tecnologia in campo col primo rigore fischiato a favore dei sardi. Fu il battesimo del fuoco per gli arbitri in campo e per quelli dietro il monitor. Da quella data sono passate stagioni, partite, errori, polemiche, decisioni giuste e decisioni sbagliate, interventi e non interventi, on field review mancate e tanto altro.

La principale modifica in corsa adottata dall’IFAB, alla fine della prima stagione molto discussa e chiacchierata del VAR, è stata fondamentalmente una: quella di passare dal concetto di “chiaro errore” a quello di “chiaro ed evidente errore. Molti si domanderanno cosa cambi, e invece la differenza è sottile, ma c’è. Le prime decisioni degli arbitri che mimavano il VAR erano infatti frutto per lo più di errori grossolani, come quel primo rigore di Alex Sandro su Čop del Cagliari: pestone netto, gioco lasciato proseguire. Poi il richiamo del VAR. Un episodio su cui oggi non ci sarebbe discrezionalità tale è l’evidenza del fallo.

Oggi però, prendendo sempre come spunto di riflessione quel Juventus-Cagliari, si sarebbero revisionate (anche solo via auricolare) altre situazioni. Per esempio la rete del 2-0 bianconero firmata Dybala nasceva da un controllo a metà strada fra braccio e spalla, rigorosamente fuori dall’area. Non si andò a rivedere, ma neppure ci furono le attese che ci sono oggi prima di fischiare la ripresa del gioco dal cerchio di centrocampo. Il confronto era più serrato, rapido, mirato a casi specifici come rigori e fuorigioco. Insomma, dallo sgrezzare gli episodi più netti si è arrivati, oggi, ad analizzare ogni minima infrazione al regolamento. Non proprio un cambio di passo ininfluente considerato che il tempo effettivo di gioco rimane basso, ma si dilata notevolmente la durata della gara, spesso ben oltre l’ora e mezza abbondante di gioco.

Nel tempo si sono susseguite molte domande. Quando è giusto andare a rivedere al monitor una dinamica? Verrebbe da dire sempre, quantomeno per uniformità di giudizio e utilizzo degli strumenti tecnologici a disposizione, ma sappiamo bene che non è sempre stato così. Occorrerà preservare, ove possibile, la verità di campo e ciò che gli occhi del direttore di gara hanno visto da posizione ravvicinata? Anche questa è una domanda che resta un po’ nel limbo, vincolata al singolo episodio (ma anche alla potenza di fuoco delle telecamere disponibili da stadio a stadio, che sappiamo cambiare per numero). Come si decide se un errore è chiaro ed evidente, o solamente chiaro? Probabilmente questa è la domanda più difficile a cui dare risposta.

In soccorso al VAR vengono le sfere di utilizzo ammesse dal protocollo. Catalizza l’attenzione, senza dubbio, la porzione di campo dell’area di rigore: alcuni episodi che avvengono fuori dai sedici metri non hanno lo stesso peso. Sarebbe inutile affermare il contrario. Certamente ci sono i falli ad inizio azione, che poco a poco hanno preso piede e portato all’annullamento (o al mancato annullamento) di reti e rigori. Ci sono gli offside, ormai calcolati al millimetro. Ci sono gli scambi di persona, quando un giallo (o un rosso) si attribuiscono al calciatore sbagliato.

E ancora ci sono i gialli da tramutare in rossi (mai viceversa), una delle situazioni dove la discrezionalità è più marcata e dove tante interpretazioni su negligenza e pericolosità degli interventi non sono state univoche. Ci sono, in ultimo, i calci di rigore su cui si è deciso di sorvolare, malgrado vi fossero. Queste ultime due situazioni sono quelle dove il riconoscimento di un “chiaro ed evidente errore” è diventato più complicato. E per complicato si intende che qualche volta lo si ravvisa, qualche altra volta no.

Questo ondeggiante metro di valutazione ha certamente influito sulla classifica dei rigori concessi alle squadre di Serie A. Molti evidenti ad occhio nudo, molti altri scovati dal VAR, qualcun altro non visto e non concesso. Il Genoa, come noto, in questa stagione è la squadra ad averne avuti meno a favore (uno contro lo Spezia concesso senza la tecnologia tanto evidente era stato il fallo di Terzi su Behrami). Il Milan guida con sedici.

L’ultimo mese e mezzo di campionato, al rientro post Pasqua, ci dirà quale trend seguirà questo VAR, che ormai sappiamo essere una regola del gioco particolarmente influente sul risultato finale, capace di migliorare ed equilibrare molte partite in positivo, ma talvolta cadendo in fallo. Da aprile a maggio, peraltro, vivremo gli ultimi sprazzi del vecchio andazzo prima che, da luglio, possano entrare in vigore le nuove regole sul fallo di mano promosse dall’IFAB. E allora sarà altro giro, altro regalo.


IFAB: cambia l’interpretazione del fallo di mano che porta ad un gol