Siamo giunti all’elettroshock del campionato, con l’ultima giornata che segnerà più destini. In cima, in fondo, nel cuore delle tifoserie.

Preparata a porte chiuse per tutta la settimana, senza barlume di porte aperte, la sfida di Firenze sarà un crocevia decisivo, il primo della stagione da affrontare avendo tutto da perdere. Gettare il cuore oltre l’ostacolo sarà compito di altre squadre impegnate nel gioco ad incastro della 38esima giornata: quello del Grifone, a cui non mancherà la sua coscienza più rumorosa e battagliera, quella dei Genoani, sarà di mantenere dove possibile lucidità, facendo leva sull’unione d’intenti della salvezza e – per quanto paradossale possa sembrare – ritrovare un minimo di divertimento in ciò che fa. Non chiamiamola spensieratezza: impossibile pensare che potrà esistere al Franchi in quei novanta minuti, anche perché il pensiero volerà spesso a ciò che Inter-Empoli e Spal-Milan partoriranno in termini di risultati.

BLACKOUT FATALE – In casa rossoblu, la tenuta mentale è venuta mancando negli ultimi due mesi e mezzo. O più che altro è stata la fiducia a lasciare spesso campo alla sfiducia, per stessa ammissione del tecnico, che di sana paura non ha mai spesso di parlare. Un problema a cui si è cercato di porre un freno ricorrendo al pragmatismo, al prendere qualche gol in meno. Ma, come noto, è una condizione che si realizza se poi tu sei in grado di segnarne almeno uno in più dell’avversario. Ciò che da mesi non accade ai rossoblu, comportando una inevitabile caduta verticale.

Senza il gol, lo Xanax del calcio, la classifica piange e diventa persino inutile recriminare più di tanto sugli episodi. Ed è allora che ti trovi solo con te stesso, condizione talvolta più salutare che dannosa. Più che la solitudine, che Epicuro considerava essenziale per vivere bene, è mentalmente più deleterio sapere di non aver ancora raggiunto, a novanta minuti dal termine, l’obiettivo minimo stagionale, che probabilmente in casa rossoblu coincideva anche col massimo: il mantenimento della categoria.

Perché, per dire, sarebbe quasi “utile” retrocedere se giocassimo in Premier League, dove le tre retrocesse (Fulham, Huddersfield e Cardiff City) possono godersi, più che un paracadute, un volo di linea in prima classe a traghettarle nella serie minori. Basta rifarsi ai numeri della Barclays Premier League: quella a prendere meno è l’ultima classificata, che retrocede con 105 milioni di euro in tasca tra diritti televisivi, piazzamento e retribuzione per le partite trasmesse in diretta dalle Pay tv. La terzultima si congeda con 113, la penultima con 111. In Italia, per sopravvivere al girone infernale della Serie B, non riceveresti neppure un terzo di queste cifre.

A far capire l’importanza di lavorare sulla testa per mantenere la Serie A furono emblematiche l’anno scorso, dopo la sconfitta del Genoa in trasferta contro la Spal, le parole di Mattia Perin, all’epoca capitano rossoblu, che sottolineò come quel Genoa fosse stato costruito per fare qualcosa di differente che galleggiare nei bassifondi. “Se dare il 100% non basta, dovremo dare ancora di più. L’unica via che conosco, qui al Genoa, è che il lavoro porta risultati” fu l’espressione utilizzata a Ferrara. Passò ancora una giornata dopo quella sconfitta, poi arrivò la svolta con Ballardini in panchina. Ma se una squadra si tara su un obiettivo e puntualmente, complici anche le scelte di mercato intraprese dalla società, ne raggiunge un altro, è chiaro che la componente psicologica e la coesione del gruppo, prima ancora dei risultati, finiscono per diventare le uniche medicine possibili per evitare il peggio. Gli unici appigli per riscoprire un po’ di orgoglio per la maglia indossata, la più antica d’Italia.

L’ESCLUSIVA DELLO PSICODRAMMA VIOLA – Ad ogni modo, malgrado la terza annata genoana al cardiopalma tradottasi in un vero sfacelo da gennaio in avanti, in settimana lo psicodramma è stato solo ed esclusivamente fiorentino: la Viola che non vince da metà febbraio ha letteralmente oscurato il Genoa, abbandonandolo nel suo angolo di Pegli. In silenzio per scelta, affidato al lavoro di campo.

Per quanto contino zero questa settimana, qualcuno si è comunque scordato di alcuni dati: Genoa e Fiorentina, in questo girone di ritorno, hanno fatto lo stesso, identico percorso. In termini di punti è addirittura leggermente avanti il Grifone (16 contro 14), ma per il resto si intravedono le stesse problematiche, soprattutto in campo. Stesse sconfitte, stesse vittorie, stessa tensione, stessa latitanza del gol e stesso numero di pareggi (8). È così che l’asticella da ben più alta si è livellata sull’obiettivo minimo salvezza.

TRA I DUE LITIGANTI – Pioli, a febbraio, pensava ancora di poter dire qualcosa in zona Europa, mentre i rossoblu gravitavano sempre sopra il terzultimo posto. Le acque erano torbide, ma tutto sommato calme. Poi, senza più fare i tre punti, ecco arrivare la doccia fredda di Empoli-Torino – con tanto di scuse granata nei giorni a seguire – che ha condannato il Genoa ad inseguire, per la prima volta in stagione, la formazione toscana, galvanizzata dal gioco e da una rincorsa salvezza decollata soprattutto nell’ultimo mese coi nove punti racimolati contro Fiorentina, Sampdoria e Torino.

Inutile dire che dal punto di vista mentale l’Empoli parte sicuramente avvantaggiato nell’ultimo turno. Bisognerà però vedere quanto inciderà la psicologia, per un “filosofo” come Spalletti, nel ricordare ai nerazzurri cosa significhi una qualificazione in Champions rispetto ad una in Europa League. Farebbe tutta la differenza del mondo, anche per il futuro progetto tecnico.

Difficile parlare oggi di leggerezza, soprattutto se il Franchi andrà verso il tutto esaurito come questa mattina si racconta sui quotidiani, ma è così che dovrebbe proporsi il Genoa domenica sera. Scacciando numeri, amarcord, digressioni pericolose. Quelle domenica non scenderanno in campo e, soprattutto, non faranno la differenza. La faranno, piuttosto, la bontà del lavoro svolto in settimana, ancor di più la consapevolezza di aver lavorato con la giusta concentrazione e la capacità di riproporre in campo quanto fatto in settimana. Che poi è quella di rispettare le aspettative. Un calciatore – ma più in generale un professionista qualunque – sa quando si è preparato a dovere per un lavoro da svolgere, specialmente se delicato. E se ne è consapevole, vuole finirlo senza portarsi dietro rimorsi.

Ma più di ogni altra cosa, la psicologia vive anche di una buona percentuale di incoscienza e quel che è certo è che domenica, per novanta minuti più recupero, Genoani e Genoa saranno una sola cosa. Un insieme di sentimenti e percezioni che si uniranno in un unico flusso di coscienza. E come la storia ci ha insegnato, potrebbe fare tutta la differenza del mondo.