Nell’ambito del Museo del Genoa e della conferenza stampa di restituzione dei progressi del progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione organizzato da UISP in partnership con Lega Nazionale Professionisti Serie A e Genoa CFC, è intervenuta Federica Di Criscio, giocatrice del Genoa Women neopromosso in Serie A Femminile.
Già in precedenza la giocatrice – assieme ad Alice Campora – era stata intervistata da UISP toccando temi che andavano dalle discriminazioni di genere nello sport allo sviluppo del movimento calcistico femminile in Italia e a Genova. Intervistata dal Presidente provinciale del Comitato UISP di Genova, Marino De Filippi, la giocatrice è tornata sul tema. Con una novità sopraggiunta pochi giorni fa: la promozione in Serie A.
“Essere arrivate in Serie A è sempre un’emozione grandissima, soprattutto quando ti ricordi da dove sei partito. Quest’anno abbiamo iniziato con in testa un obiettivo chiaro, che era quello di fare sicuramente meglio della stagione precedente, e io quando sono arrivata ad agosto ho trovato un ambiente assolutamente volenteroso, voglioso di lavorare e di fare bene in questa categoria – spiega Di Criscio – La promozione è arrivata in un momento un po’ inaspettato, perché dall’altra parte si giocava il derby tra Bologna e Cesena e pensavamo tutte di dovercela giocare all’ultima partita di campionato. Invece, i risultati sono andati a favore nostro, quindi abbiamo potuto festeggiare in anticipo. È stata sicuramente un’emozione grande, ma è un’emozione perché, come dicevo prima, ti passano davanti tanti momenti dove hai dovuto sgomitare, affaticare. Per tante ragazze di questo gruppo è un’emozione grandissima aver raccolto tanti sacrifici ed è il lavoro di tutti. Dietro quello che facciamo noi c’è una squadra che lavora per noi, ed è giusto ringraziare anche loro perché fanno parte di un percorso di crescita fondamentale per poi raggiungere degli obiettivi”.
A chi le domanda quanto si alzerà il livello tra Serie B e Serie A Femminile, Di Criscio risponde: “Io ho avuto la fortuna di stare nella massima serie per tanti anni, quindi ho vari ricordi di quello che andremo ad affrontare. Sicuramente sarà difficile, saranno tutte domeniche dove bisognerà sudarsela, tanto, forse molto di più di quanto abbiamo sudato quest’anno. La cosa bella è che abbiamo l’opportunità di confrontarci con realtà grandissime che hanno qualcosa da insegnarci. Realtà che fondamentalmente sono partite un pochino prima del Genoa: noi, però, non abbiamo niente da invidiare. Anzi, abbiamo da imparare, abbiamo da crescere e possiamo sfruttare questa opportunità nel migliore dei modi. Noi proveremo a starci, a starci bene e per adesso ce la godiamo“.
Federica Di Criscio ha più esperienza di altre giocatrici del Genoa Women e ha vissuto da vicino il percorso del movimento calcistico femminile in Italia, in costante sviluppo. Culturalmente qualche passo avanti c’è stato? “Io è vero che sono giovane, ma in realtà ho vissuto delle fasi transitorie di questo movimento che partono dal 2015, dove le società in realtà non avevano niente, le giocatrici erano tutte lavoratrici, come tutt’ora ci sono giocatrici lavoratrici – spiega Di Criscio – Forse in percentuale si è un po’ ridotto questo gap, però ce ne sono tante. Adesso noi parliamo di Genoa, ma se dobbiamo parlare di movimento femminile dobbiamo affrontare anche tutte le altre realtà che sono sotto di noi. Ci sono tante squadre e tante giocatrici che purtroppo non fanno del calcio la loro vita, perché non potrebbero vivere di questo, e quindi sono tutte lavoratrici e accettano anche di allenarsi la sera in orari dalle otto alle dieci di sera. Questo non è cambiato da quando ho iniziato a lavorare: ricordo che da bambina, dopo aver fatto il passaggio dal maschile al femminile, mi allenavo dalle otto alle dieci di sera e avevo 12-13 anni. Era già impegnativo, andavo a 90 chilometri da casa, la mattina andavo a scuola: era tutto un loop”.
“Culturalmente cos’è cambiato? È cambiato che poco, oggettivamente poco. La cosa che è cambiata è che se ne parla molto di più e che abbiamo la possibilità di tramandare dei messaggi. Come dicevo nell’intervista che abbiamo fatto a Arenzano, noi abbiamo l’obbligo e la responsabilità di tramandare delle cose vissute e la responsabilità di dire ciò che da dove siamo partiti e quello che stiamo facendo, quello che stiamo facendo lo stiamo facendo con tanta fatica e la cosa più complicata è lottare giornalmente con le persone che ti mettono sempre in competizione col mondo maschile, come se dovesse essere una gara tra il calcio maschile e il calcio femminile. Ma è una lotta impari, è una lotta che non si può fare: noi ci battiamo per essere riconosciute come atlete, come calciatrici, perché di essere donne sappiamo già di essere donne, quindi non è necessario sottolineare l’essere donna o le belle ragazze. Questo lo sappiamo già: non vogliamo essere presuntuose, ci guardiamo allo specchio e lo sappiamo. Quello che è difficile nella cultura – perché è un gap culturale che sicuramente abbiamo – è proprio far capire che noi siamo atlete. Poi che il nostro essere atlete implichi anche essere lavoratrici perché per ora il movimento non è ancora così adeguato per farci vivere di questo, questo è un altro discorso, un altro aspetto da valutare, ma la cosa importante è parlare di atlete, di sportive. Non penso solo alle calciatrici, ma anche alle nuotatrici, alle tenniste, a tanti altri sport che magari hanno anche un po’ meno visibilità. Questo è lo step da fare”.
“Poi si parla tanto di calcio femminile, ma quante di quelle persone che parlano di calcio femminile conoscono il calcio femminile? Di cosa parliamo? – si domanda Di Criscio ampliando il ragionamento – Perché se parliamo solo del risultato sportivo della domenica va bene, ma se dobbiamo parlare di calcio femminile a 360 gradi bisogna conoscere tutto quello che è stato fatto e tutto quello che facciamo giornalmente“.
Infine, un passaggio sulla mole di lavoro che aumenterà, con ogni probabilità, tra Serie B e Serie A Femminile e sul fatto che le giocatrici dovranno fare i conti con un ulteriore incremento degli allenamenti e dei lavori sul campo. “Già adesso si fa una “selezione naturale” purtroppo, nel senso che magari ci sono anche tante ragazze che avrebbero le capacità di stare nelle categorie superiori, ma che si trovano davanti a una scelta. Cosa faccio? Continuo a lavorare e fare quello che mi dà da mangiare tutti i giorni da qualche anno oppure smetto di lavorare e mi do al calcio che in questo momento è una passione? Questa situazione tra le due categorie sicuramente si accentua. Anche noi abbiamo una ragazza che, per scelta, continua a lavorare: finisce l’allenamento a mezzogiorno e mezzo o l’una, fa la doccia in un secondo e mezzo, torna a Genova, va a lavorare, lavora fino alle nove di sera e poi la mattina ricomincia l’allenamento. È una situazione sicuramente invalidante perché facendo una cosa fisica, un lavoro fisico, tutto incide su prestazioni e performance. Tutto ruota intorno agli investimenti ed è sempre un gatto che si morde la coda. Possiamo voler fare, abbiamo le capacità per farlo, ma dobbiamo essere messe nelle condizioni di poterlo fare in un certo modo. Noi qua a Genova siamo fortunate perché, tranne una ragazza che lavora, tutte le altre vivono di questo, ma fuori da Genova la situazione è amplificata dieci volte. Sarà sicuramente un percorso di crescita. L’anno prossimo noi ragazze, ma anche come società, come organizzazione, tutti quelli che lavorano con noi avranno la possibilità di imparare, di confrontarsi con persone che magari in quella categoria ci stanno da più tempo. Noi abbiamo la fortuna di avere la Direttrice (Marta Carissimi, ndr) che è stata un’ex giocatrice, ha fatto la Serie A, ha giocato in Nazionale ed è stata anche una mia compagnia di squadra tra l’altro. Credo che questo mondo lo conosca molto bene, sa quali possono essere le difficoltà, quindi lei in primis ci metterà nelle condizioni ideali per poterlo fare al meglio“.
Bologna-Genoa, arbitra Monaldi all’esordio in Serie A. Al VAR Pezzuto