La copertina, la vetrina di Genoa-Reggina, è del signor Aureliano di Bologna, figlio d’arte del papà, potente presidente della sezione di Bologna, e amico dell’altro potente arbitro Rizzoli. Altrimenti sarebbe difficile capire come sia arrivato ad arbitrare in Serie A e B.

Anzi, è semplice: è in B dal campionato 2014, in serie A solo con l’accorpamento tra CAN A e CAN B. Non sono “belinate” di un cronista sportivo, non avvezzo da voglie moralistiche, ma di rabbia dopo aver arbitrato 25 anni. Cercare di riferire subito significa dimenticare presto con la speranza di non vedere più l’avvocato di Bologna dirigere una gara del Genoa nelle prossime sette gare.

Gli elementi che concorrono alla identificazione delle caratteristiche dell’arbitro sono tutti sono verso lo scarso: fisico, estetico, atletico e tattico. Tecnicamente nella conoscenza delle regole e la relativa applicazione è esitante e difforme. Disciplinarmente non ha avuto fermezza nel controllare la partita. Con l’esitazione, il giustificarsi, il paternalismo, parlando in continuazione. Atleticamente carente di scatto e progressione con uno spostamento sul campo improduttivo e di scarso intuito.

Ma veniamo alla partita. Pippo Inzaghi ha cercato di impostarla subito con un 5-3-1-1 non davanti alla propria area, bensì alla linea di centrocampo con marcature a uomo. Il Genoa ha fatto fatica per una quindicina di minuti a prendere le contromisure. Il Vecchio Balordo ha  quasi favorito il lento forcing calabrese dentro il proprio centrocampo, ma non prestandosi mai a sguarnire l’area e il suo arcigno bastione. Anche dopo l’uscita di Bani per ferita alla testa, dove i giocatori amaranto erano attesi imperterriti da Ilsanker Vogliacco, Dragusin, Criscito e Sabelli, irrobustiti da Strootman, Badelj e Sturaro.

Intorno al 20’ del primo tempo il Genoa  ha incominciato a giganteggiare, il centrocampo rossoblu ha iniziato a sovrastare quello amaranto in fase offensiva proiettandosi in avanti con Badelj e Strootman che stavano sulla stessa linea e Sturaro in grande forma che attaccava l’area avversaria.

La fotocopia di quanto scritto è il gol di Coda con la Reggina sbilanciata in avanti, tre passaggi tra Criscito, Gudmundsson e Sturaro, che serve poi un assist perfetto da numero 10 per Coda, tornato al gol con un tiro al goniometro.

Dopo il gol  è stato il Genoa ha creare altre due grandi occasioni con Coda e Badelj, rigori in movimento non andati in gol, uno per una svirgolata di Coda con Strootman alle sue spalle pronto a battere a rete, l’altro una grande parata del portiere calabrese su Badelj. Gol non realizzati, ma tatticamente significa che il Genoa ha sempre riempito l’area avversaria.

La Reggina cercava di attaccare ma perdeva equilibrio per lentezza o povertà di schemi e alla lunga ha subito le incursioni genoane più dotate di spunto e di inventiva. La disposizione tattica della squadra di Gilardino doveva considerarsi perfetta.

Il secondo tempo, oltre all’arbitro che sventolava 9 gialli per tenere la gara in pugno dimenticandosi di doppiarlo su Cionek che ha trattenuto Ekuban lanciato a rete, c’è stato il protagonismo di Pippo Inzaghi che metteva in campo i cinque attaccanti in rosa. Un caos controllato dal Genoa senza creare pericoli fino al 95’ con un’unica, grande parata di Martinez. Il portiere spagnolo, con il salvataggio di Bari sempre allo scadere e quello di ieri sera al Ferraris, porta almeno 6 punti in più alla classifica del Genoa salvando le vittorie.

Tanta confusione in campo da parte dei calabresi, ben gestita però dagli uomini di Gilardino che hanno timbrato una traversa con un calcio di punizione diretto di Badelj e altre occasioni per chiudere la gara. Genoa contro tutto e tutti, insomma, compresi i soliti delusi di non aver chiuso la partita che vedono il bicchiere non pieno attaccandosi alla parata finale di Martinez e non calcolando i quasi 570’ di imbattibilità dentro il Tempio.

foto TanoPress

In casa il Genoa è quasi al top e non potrebbe essere diversamente con l’avvento di Gilardino. Quando vinci 8 gare su 9 pareggiandone una, vuol dire che stai costruendo qualcosa di buono. In particolare non va sottovalutato in questa Serie B schizofrenica rispetto a tanti altri colleghi da più tempo in pista.

Già scritto che la continuità, la ricerca del dominio del gioco e della partita, la sicurezza di conservare il risultato quando si passa in vantaggio fanno la differenza ed è quello che sta facendo il Vecchio Balordo con le altre squadre. L’energia del tecnico appena arrivato al Pio Signorini è stata aver capito di non dover fare la rivoluzione, perché la squadra non ne aveva bisogno.

Gilardino conta – e conta parecchio – avendo dato una identità non solo al gioco, ma anche al singolo calciatore e a tutta La Rosa, che partecipa dopo 16 giornate di permanenza sulla panchina del Violinista spingendo il Vecchio Balordo sulla retta via.

Non comanderà il campionato il Grifone, ma la forza espressa nelle ultime gare in casa e fuori e di buono auspicio per l’obiettivo prefissato. Gilardino in casa e fuori non ha mai cambiato strategia, all’inizio e durante la partita, puntando un solo obiettivo: la vittoria. A sette giornate dal termine significa che il lavoro dovrà essere completato gara dopo gara  cercando se possibile di chiudere la pratica mettendosi in sicurezza.

Per ottenere il risultato finale la squadra non dovrà mai allentare l’attenzione mentale per evitare banali incidenti di percorso. La mossa e la variante di Gilardino è quella di avere sempre la soluzione difensiva. La compattezza del reparto arretrato con pochi passaggi a vuoto è il fiore all’occhiello di Gila. Con il recupero di Ekuban, Coda e Aramu, verranno cercato altre soluzioni. Una citazione per Sturaro e Criscito, vecchi cuori rossoblu sempre sul pezzo.

Il tragitto è ancora lungo e gli esami continueranno e dovranno intersecarsi con la continuità dei risultati che non potrà venire a meno. Gilardino ne è il primo consapevole,  in ogni conferenza stampa tiene a precisare che nulla è stato fatto.

A di là delle chiacchiere, su tutti quotidiani sportivi e no che si occupano di Serie B e delle altre 19 squadre partecipanti,  surrogate da dirigenti, allenatori, ex calciatori, ci sono due domande  da fare: oggi alla trentunesima giornata non sembra che ci sia una squadra che possa stare al passo dei rossoblu a quarti? O meglio: c’è una squadra al loro livello?  

Oltre il gioco, il valore della rosa, i giocatori, il mister e dirigenti,  tutti mantengono i piedi per terra, anche se vedere l’entusiasmo dentro il Tempio fa bene al cuore. Un serata fantastica per chi ha riempito il Ferraris, più di 30.000 persone come chiesto e auspicato dal CEO Blazquez. Trentamila e oltre che hanno cantato (non ballato perché non c’era spazio) e faranno trascorrere in pace la Settimana Santa che inizierà domani, in attesa di passare il Lunedì dell’Angelo non sui prati, ma a Como.