“Premesso che alla Scuola calcio allenatori non esiste un prototipo dell’allenatore, che ha avuto successo e fama allenatori con caratteristiche diverse e che nessuno deve “scimmiottare” gli atteggiamenti e i comportamenti di altri solo perché è in auge o di nostra ammirazione; il consiglio da conservare è di rimanere sé stessi e sapere che il nostro è solo un lavoro, non una missione, e che in ciascuno dei campi di espressione della nostra attività c’è sempre qualcuno che ci osserva e ci giudica al di là dei risultati sul campo (che poi generalmente sono frutto del nostro agire…). Quindi risulta importante saper controllare e gestire la nostra immagine ed essere convinti che c’è sempre da imparare”. 

Quanto scritto appartiene alla prima lezione o al primo impatto di Franco Ferrari, docente di tecnica e tattica, al corso allenatori del passato nel settore tecnico della FIGC a  Coverciano. Gilardino non lo ha avuto come professore, ma sicuramente incarna quello voluto dalla sua scuola allenatori.

Da suo arrivo in prima squadra, e anche prima nel settore giovanile, ha fatto capire che l’allenatore ideale non è solo colui che sa proporre, ma anche quello che sa leggere ciò che succede. Allo scopo ha utilizzato un suo metodo, necessario per acquisire e analizzare logicamente i problemi programmando una soluzione relativa.

Ha messo subito in campo dentro lo spogliatoio conoscenze specifiche e capacità didattiche, sensibilità, psicologia e doti morali di varia e molteplice natura come pazienza, perseveranza ed equilibrio. La sua opera è stata subito apprezzata e valuta con obiettività dai calciatori che lo hanno accettato dopo poche settimane di lavoro non come un allenatore ad interim. Come in ogni circostanza della vita, è il successo che conta e i risultati sul campo determinano la graduatoria dei valori.

Gilardino vista la sua esperienza da calciatore ha subito offerto un indirizzo, una traccia, con la voglia più che di istruire, essendo tutti professionisti, di guidare un gruppo con l’obiettivo di farli diventare squadra, forte anche di esperienze vissute in altre panchine prima di arrivare a Pegli o con allenatori particolari avuti nella sua carriera di calciatore.

Una squadra è qualcosa di più complesso, qualcosa di più organico che un gruppo indifferenziato di individui. Una squadra a prescindere dagli elementi che la compongono ha una fisionomia e un carattere particolari. Gilardino con il Genoa a disposizione ha cercato subito quel carattere, quella identità prima tra gli elementi dello spogliatoio, e solo dopo agendo in modo tranquillo, ma determinante, sui risultati. E lo ha fatto negli allenamenti e sul campo.

I giocatori, soprattutto quelli con più esperienza, hanno subito capito l’efficacia e l’abilità del nuovo tecnico non solo sul campo di allenamento, ma anche nel preparare e condurre la gara, propenso anche a discuterne con i veterani dello spogliatoio. La forza di Gilardino è quella di parlare come nelle conferenze stampa, con tono di voce calmo e pacato, anche nello spogliatoio come chi è perfettamente sicuro delle proprie affermazioni. Tutto ciò predispone i giocatori al clima della partita senza un particolare stato di eccitazione, infonde calma, serenità e fiducia nei loro importanti mezzi, inculca la predisposizione alla lotta e a non mollare mai.

Essendo stato un calciatore di qualità e di intelligenza tattica, Gilardino ha una consapevolezza che manca a qualche suo collega mondiale che si è bruciato non solo in questo campionato. Il tecnico rossoblu non si è mai dimenticato che il calciatore è il vero protagonista in ogni momento e in ogni fase della gara: è lui che decide sempre cosa e come fare in quell’istante, in funzione di quanto percepisce e interpreta nella situazione di gioco.

In questo senso Gilardino sa proporre prima, sa leggere quello che succede durante la partita, fa vedere di avere un metodo e capacità di analizzare logicamente il problema e programmare una soluzione. Inoltre ha mostrato di avere competenza calcistica, soprattutto quando all’inizio in questo Genoa ha dovuto e saputo gestire le pressioni interne, la squadra, i calciatori come singoli e come gruppo. Ha saputo gestire le pressioni esterne di dirigenti, media, procuratori e tifosi. Ha dimostrato di aver trasmesso equilibrio in ogni momento, all’interno e all’esterno. In più, dettaglio non da poco, ha passione per il calcio e lo studia giornalmente.

La sua forza? Più che insegnare, quella di spiegare a come rendere migliori la squadra e gli individui. Obiettivo che si raggiunge lavorando a braccetto con lo staff e non perdendo mai l’occasione per lodarne l’operato.

Per tutta questa serie di caratteristiche già ben evidenti nll’allenatore del Genoa, Gilardino è già nel mirino di altre squadre. Il club di Villa Rostan lo vuole blindare per iniziare un ciclo, un progetto che naviga tra i 777, gli uomini che si interessano di campo dietro le scrivanie e la dirigenza che opera dentro Pegli.

Tutto quello scritto è fantasia? No, non lo è. È il ricavato derivante dall’averlo visto qualche volta allenare, più la Primavera che la Prima squadra, e averne visto il comportamento in panchina prima, durante e dopo la gara, mostrandosi nelle conferenze stampa sempre pronto a rispondere ai quesiti tattici e tecnici.