Juventus, Roma e Inter, quella del Triplete, sono le ultime squadre in ordine di tempo con le quali ha lavorato il professore Riccardo Capanna, nelle vesti di preparatore atletica. Nella sua carriera arrivarono però anche il Parma di Ranieri, che nel febbraio 2007 lo volle nel suo staff, ma pure le esperienze liguri col Genoa di Delio Rossi (stagione 1999/2000), Reja (stagione 2001/2002), Scoglio (2001/2002), Onofri (2002/2003) e con le formazioni di Entella e Spezia. Lo abbiamo raggiunto a Nervi, nell’area del Porticciolo, per chiedergli quanto importante sia immagazzinare energie in questa fase di preparazione estiva e quale possa essere la tipologia di preparazione migliore e duratura per la stagione.

C’era una volta la preparazione: come si mette in cascina una condizione fisica ottimale per dieci mesi?

“Questo principio non credo sia corretto, nel senso che non si accumulano in periodi precampionato le energie per tutto il resto dell’anno. Secondo me hanno capito – e capito bene – che bisogna prepararsi in pre-campionato per fare poi in campionato una attività che sia utile a durare dieci mesi. Una volta si diceva “faccio tanti chilometri perché riempio il serbatoio”, ma oggi questo principio non è più ritenuto valido da nessuno. Ed è giusto sia così: si corre un po’ di meno, si gioca un po’ di più. Serve lo stesso per arrivare in fondo, ma se poi continui ad allenarti bene durante l’anno. S pensi di fare tutto nel pre-campionato e poi durante la stagione prepari solo le partite, è un errore di metodo. Un errore che credo non faccia nessuno, né in Italia né all’estero”.

Prima si faceva la parte aerobica, poi quella della forza e quella della velocità.

“Era un principio valido per l’atletica leggera, che ho fatto da atleta praticamente. Studi russi prevedevano che si facesse una preparazione che durava dieci mesi, mentre nel calcio il tempo è ristretto in poche settimane, all’incirca sei settimane. Si facevano due settimane di aerobico, due di anaerobico lattacido e due di anaerobico alattacido, ossia la velocità. Oggi si butta dentro un po’ di tutto, è un po’ la teoria del “minestrone, e credo che sia una metodologia più corretta”.

Lavorare in palestra porta vantaggi o svantaggi?

“Lo posso dare per certo: non lavoro – e non mi chiedono di lavorare – perché io sono quello che non fa lavorare in palestra. Sono quello che crede che la forza non sia così necessaria, anche se in qualche modo bisogna colmare qualche lacuna. Si potrebbero avere meno principi così rigidi come oggi, quando si portano ad esempio quintali di macchine per fare le palestre in ritiro. Tronco, busto e arti superiori “liberi tutti”, come dico io, mentre per gli arti inferiori si può lavorare anche in altra maniera”.

Qual è la caratteristica principale da allenare nel calcio odierno?

“Come principio filosofico, ritenuto corretto da molti anni e da molti scienziati, l’uomo è unità integrata. Che significa? Significa che le varie caratteristiche agiscono in funzione di altre caratteristiche. La forza in funzione della resistenza, la resistenza in funzione dell’agilità, l’agilità in funzione della tecnica, la tecnica in funzione della tecnica, e così dicendo. Essere un individuo integrato significa avere la possibilità di fare una certa attività nella quale intervengo meccanismi dei quali si ha bisogno in quel momento. Se si ha bisogno di un po’ di forza, interviene un po’ di forza, Se serve un po’ di resistenza, interviene un po’ di resistenza. Diciamo che il principio di integrazione, ritenuto valido da tutti gli scienziati del mondo, non viene ritenuto molto valido da allenatori e preparatori, mentre si preferisce un concetto cartesiano, di divisione dell’anima dal corpo. Qui la tecnica va per conto proprio, la tattica per conto proprio, la resistenza per conto proprio, e questo secondo me non è corretto. Sono sempre dalla parte della teoria del minestrone: per curare il minestrone, devi metterlo su e assaggiarlo se va bene. Se vuoi vedere che qualcosa funziona, devi fare giocare i calciatori e vedere se va bene. Se così non va, intervieni in un modo o nell’altro, ma sempre intervenendo a livello globale”. 

È tornato Mourinho in Serie A. Tra lui, Bielsa e altri hanno cambiato il modo di fare calcio e di fare esercizi sul campo…

“Mourinho lo conosco un po’ di più e l’ho seguito, fra l’altro ha fatto scienze motorie in Portogallo. In un libro di Modeo, che intervistava sia Mourinho sia Guardiola, allenatori di cui sono innamorato, si leggeva che loro seguivano il principio dell’uomo come unità psicofisica. Questi allenatori, nell’ambito della loro attività, lavorano in funzione di questo principio filosofico, ma in realtà fisiologico. Credo che Mourinho possa fare bene, anche se faccio fatica a riconoscerlo in questo momento. Non so se è cambiato lui oppure no, visto che quando uno arriva in un certo ambiente cerca di fare un po’ quello che l’ambiente si aspetta. Mourinho penso sia in questa fase”.

Lei è per i giochi di posizione?

“L’uomo impara e agisce in maniera integrata, e ciò prevede anche i giochi di posizione. C’è chi ne dice bene e chi ne dice male: io non dico niente…”

Più forza o più resistenza nel calcio?

“C’è questa enfasi della forza e i giocatori sono impregnati da questa idea per la quale hanno il desiderio di andare in palestra, sulle macchine. La stessa volontà non c’è per la resistenza. Signori, una gara di calcio dura 100 minuti. È una prestazione di resistenza, non di velocità. Nell’ambito di questa prestazione di resistenza, ci sono momenti in cui si va veloce e meno veloce, ma il contesto rimane di 100 minuti di gioco. Chiunque dica che si devono fare velocità e rapidità, diciamo che non è la cosa principale. La cosa principale è la resistenza. Poi bisognerà valutare quale tipologia di resistenza, in quanta quantità mettere dentro le parti di abilità e reattività, ma l’idea resta quella di resistere. Fatto sta che quando andiamo all’estero resistono più gli altri. I tennisti bravi possono perdere anche il primo set, ma in cinque set vincono loro”. 

La forza fisica è un concetto totalmente subordinato alla forma generale?

“Il discorso è che ci sono degli sport in cui gli atleti per vincere devono fare forza: agli anelli, se non riesci a tenere la croce per tre secondi, perdi. Un nuotatore, se non fa un certo tipo di forza, perde. Se un pallanuotista non fa un certo tipo di forza, non può giocare. Se un saltatore non fa un certo tipo di forza, salta di meno. Vince chi fa una migliore qualità di forza. Ma nel gioco di calcio la cosa migliore non c’è. Avete mai sentito dire, nel calcio, che se fai dieci volte così tu vinci e l’altro perde? Tutte le squadre del mondo fanno cose diverse: non esiste il metodo per i calciatori. I lanciatori di peso o nuotatori nel mondo, ad esempio, fanno più o meno le stesse cose. I calciatori fanno tutto diverso puntando tutti all’acquisizione della forza. E allora io dico: se va bene tutto, nel tutto ci sta bene anche il niente. E può andare bene anche il niente allora”.


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