Amo Genova, il Genoa l’ho rifiutato quattro volte e posso dire che è stato il grande cruccio della mia carriera. Non una volta, quattro. Ho abitato in Albaro per qualche anno, in via Montallegro e in via Piave assieme al mio papà e alla famiglia. Adoro Genova”. Il ricordo che Genova ha lasciato in mister Giovanni Galeone è forte, marcato, nonostante le strade in panchina non si siano mai incrociate. È marcato e netto come le sue idee sul campionato in corso e sulla lotta salvezza. Nella decima puntata della nostra rubrica “Parte Destra” lo abbiamo avuto in collegamento telefonico.


“Costa molto essere autentici”. È stata una sua recente citazione di Almodovar in un’altra intervista alla Gazzetta dello Sport. E io questa citazione gliela rigiro qui in altra forma: quanto è autentico questo campionato di Serie A condizionato fortemente dal Covid e senza tifo? I valori in campo rispecchiano realmente la classifica attuale?

“Bene o male direi di sì, ma che sia autentico proprio no. In nessun senso. Senza pubblico non è calcio, non c’è niente da fare. Una volta una partita a porte chiuse era già una cosa scandalosa, adesso tutte senza pubblico. Non esiste. Si tratta di un gioco anche diverso e accadono determinate cose anche perché manca il pubblico: la costruzione da dietro a tutti i costi, ad esempio, con il pubblico presente si farebbe molto meno perché, se si dovessero commettere errori in fase di costruzione, il pubblico non li accetterebbe tanto volentieri”.

Guardando più alla parte destra di questa classifica, cosa ci sta raccontando e cosa ci dirà da qui alla fine la lotta per la salvezza? Si aspettava così tante squadre coinvolte?

“Due squadre non credevo fossero impegnate nella lotta per non retrocedere: il Genoa e il Cagliari. Il Torino, invece, l’anno scorso aveva finito il campionato giocando il peggior calcio degli ultimi trent’anni in Italia, una cosa veramente inguardabile. Non so neanche come abbia fatto a salvarsi: probabilmente si è salvato perché ha mezzo rubacchiato una partita in casa con l’Udinese, altrimenti sarebbe retrocesso. La squadra non sapeva neanche da che parte iniziare a giocare a calcio, da Mazzarri in poi il Torino non è mai esistito. Immaginavo, quindi, che avrebbe fatto fatica, ma non il Cagliari, che ritengo un’ottima squadra, e non il Genoa, che ha una rosa abbastanza importante. Il fatto del Covid a volte è decisivo: il Genoa, per esempio, è stato duramente colpito, ma se ti colpisce quando hai una sosta come questa di quindici giorni e poi hai una partita difficile, magari contro la Juventus, allora non te ne frega nulla perché hai maggiore probabilità di perdere, ma se i giocatori ti vengono a mancare a ridosso di partite contro le dirette concorrenti diventa una cosa importante”.

Sabato ci sarà Genoa-Fiorentina, coi Viola freschi del ritorno di Iachini dopo l’addio di Prandelli e il Genoa rilanciato da Ballardini che procede al ritmo delle cosiddette “sette sorelle”. Che gara si aspetta? E si aspettava l’addio di Prandelli?

“Non mi sarei aspettato l’addio di Prandelli, anche se avevo notato un po’ di malessere in alcun atteggiamenti. Bisogna capirlo e rispettarlo. Un’altra che non avrei immaginato di trovare in quella posizione è la Fiorentina, che è più forte del punteggio che ha. Con Ballardini il Genoa ha modificato qualcosa, ma era già una buona squadra con ottimi elementi. Credo che la mossa principale sia stata quella di mettere Radovanovic centrale difensivo: una bellissima mossa. E in più ha giocatori come Zapata, Pandev, Pjaca, Behrami che sono più che riserve, sono autentici titolari. Il Genoa non dovrebbe incorrere in pericoli, anche se la partita con la Fiorentina è non dico decisiva, ma in caso di vittoria sì: porrebbe fine alla paura per il Genoa. Ho letto l’altra mattina una dichiarazione di Criscito in merito alla quota salvezza di 40 punti, ma certe squadre se li sognano 40 punti. Come fanno ad arrivare a 40 le squadre che hanno 22 punti in classifica? In ventotto partite hanno fatto ventidue punti, improvvisamente quanti ne devono fare: diciotto in dieci partite? Ma mai nella vita. Come gli anni scorsi, la salvezza sarà intorno ai 35/36 punti”.

Nella stagione 2003/04 subentrò a Nedo Sonetti alla guida dell’Ancona. Ancona dove aveva esordito nel novembre 2003 un giovanissimo Goran Pandev. Dal suo avvento quell’anno giocò quasi tutte le partite, moltissime da titolare, e oggi, con 465 presenze in Serie A, è ad un passo dai 100 gol. Si intravedeva già per lui questa grandissima carriera?

“Era un fanciullino che non credo abbia un grande ricordi di me perché non lo trattavo benissimo, anche se lo facevo giocare (sorride, ndr). Non avevo capito bene il ruolo, e qualche volta, giocando con gli esterni nel 4-3-3, da una parte avevo un mancino croato, Rapajc, suo grande amico ed estimatore: mi diceva sempre “mister, questo diventa grande calciatore”. Rapajc se lo portava sempre in giro Pandev, era il suo pupillo. Lui ha giocato molto con me, ma ancora non aveva un ruolo ben definito. Qualche volta aveva fatto delle buone partite da finto centravanti, però non era chiaramente ancora maturo, ma si vedevano già le grandi qualità. Ha fatto poi una carriera formidabile, finendola in maniera strepitosa tra il Genoa e la Nazionale per la quale è determinante. Peraltro lo ricordo come un bravissimo ragazzo, molto pulito, giusto, senza cattiverie, senza secondi fini. E un altro che ho avuto io – e che adoro – è Zapata: un ragazzo fantastico che ho avuto a Udine”.

Un’ultima domanda – e intanto la ringraziamo per la sua cortese disponibilità: oggi Gian Piero Gasperini ha vinto la seconda Panchina D’Oro consecutiva. Gasperini che faceva parte di quel suo Pescara di fine Anni Ottanta promosso in Serie A. È il giusto riconoscimento al miglior calcio in Italia?

“Lo dicono i fatti e le immagini. Basta vedere giocare l’Atalanta, che ora è conosciuta a livello europeo. Fino a pochissimi anno fa non era così, prima dell’arrivo di Gasperini, mentre ora pratica un ottimo calcio. L’ho sentito poco tempo fa: mi hanno fatto una sorpresa i miei ex fanciulli: Gasperini, Allegri e tutta la banda del Pescara 1986/87 mi hanno telefonato per i miei ottant’anni”.