Il calcio italiano continua a vivere di plusvalenze. Un po’ meno, ma la dipendenza è forte. Nel quadro di un movimento calcistico che quest’anno arriva ad essere indebitato per quasi 4 miliardi di euro (“continua a peggiorare la situazione finanziaria, in termini aggregati, dei club di Serie A, con un indebitamento complessivo che sfonda il muro dei 4 miliardi e una variazione pari al +11% rispetto alla stagione 2017-2018“), l’ultimo Report sul calcio italiano diffuso dalla FIGC negli ultimi giorni sottolinea come “diritti televisivi e radio si confermino la principale componente di ricavo per il calcio professionistico, nonostante la leggera flessione della stagione 2017-2018, e registrino un significativo incremento nel 2018-2019, pari al +11,8%“.

Crescono, quindi, sia i ricavi da diritti televisivi e radio sia i ricavi dagli stadi, così come quelli da attività di marketing e attività commerciali. In quest’ultimo caso, i ricavi da sponsor e altre attività commerciali crescono ancora nel corso dell’ultima stagione e la variazione sfiora addirittura il +20%. Una strada da seguire, specialmente quella di maggiori introiti da sponsor e ricavi superiori dagli stadi, perché sottrarrebbe poco a poco al calcio quella sua dipendenza da diritti televisivi e calciomercato compulsivo, lungo mesi e mesi con acquisti fatti solamente nell’ultima settimana. Avremmo più gente allo stadio, più tifo sano, più passione e, chissà mai, qualche presidente in più che non utilizzi il calcio solo come un portafoglio personale e pensi anche a costruire squadre e rose durature per centrare obiettivi sportivi.

A fronte del capitolo plusvalenze, continuano ad aumentare – e il dato preoccupa – il costo del lavoro, gli stipendi (pressoché la metà dei costi aggregati nei bilanci delle società di calcio) e gli ammortamenti, come quelli relativi ai cartellini dei calciatori. Aumenti che si portano dietro anche valutazioni assolutamente fuori mercato e fuori ogni logica, come quelle dei giovani calciatori del Napoli ceduti a cifre astronomiche al Lille (per poi essere ripresi in prestito) nell’ambito della trattava Oshimen oppure le moltissime operazioni in uscita che hanno riguardato il Genoa negli ultimi anni, con giovani calciatori neppure mai passati dall’atto di vestire la maglia del club più antico d’Italia. È un calcio sopravvalutato, malato, e ne risentono i bilanci, perché il denaro circolante è assai meno di quello messo nero su bianco nelle carte contabili. Non lo diciamo noi, ma lo riporta per l’appunto il Report sul calcio della Federazione.

Federazione che torna sul capitolo plusvalenze in maniera chiara. Le plusvalenze, mediamente il 20% dei ricavi delle società di Serie A nell’ultimo quinquennio 2014-2019, derivano dalle cessioni dei giocatori, ma “dopo la crescita già contenuta della scorsa stagione (+2,8 rispetto al 2016-2017), hanno subito una leggera flessione scendendo a 712,7 milioni di euro, in sostanziale stabilità (-0,1%) rispetto alla stagione sportiva 2017-2018“.


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