Approfondimento a cura di Diego Tarì, esperto in materia e fondatore del noto sito www.tifosobilanciato.it. Curatore, peraltro, di un’altra piattaforma web intuitiva e utilissima per capire al volo le situazioni di bilancio di molte, moltissime società di calcio in tutto il mondo (www.footyrate.it). Riceviamo e pubblichiamo il suo approfondimento.

Il sistema calcio si trova ad affrontare un evento che potrebbe seriamente costringerlo a profondi ripensamenti. C’è il breve periodo su cui concentrarsi, quello fatto di protocolli, possibili calendari, regole per gestire una classifica nel caso in cui non sia possibile terminare i campionati. Ma c’è anche il medio-lungo su cui focalizzarsi.

Le decisioni che verranno prese nelle prossime settimane avranno un impatto sulla vita quotidiana dei tifosi, che rimangono (loro malgrado) al margine avendo già metabolizzato che per parecchio tempo non potranno essere una componente attiva e presente. Secondo le prime ipotesi sembra quantomeno difficile pensare che si possa tornare allo stadio prima di fine 2020, ma si sentono anche ipotesi di un blocco fino a marzo o, addirittura, giugno 2021.

Quanto sta accadendo, e per certi versi indipendentemente dalla decisione di riprendere il campionato o interromperlo, ha comunque degli effetti economici molto pesanti sulle squadre, perché comporterà una contrazione dei ricavi in un sistema che già prima era in precario equilibrio.

Abbiamo infatti degli impatti di breve periodo, sulla conclusione del campionato in corso, ma ve ne sono anche di medio periodo: il prossimo anno si ripartirà sapendo che per qualche mese gli stadi rimarranno vuoti (e questo ha impatto su abbonamenti e biglietteria, ma anche su pubblicità e ricavi collaterali generati dalle partite), ma è ragionevole pensare che anche sponsor e ricavi commerciali vengano colpiti.

Siamo ancora in attesa di capire cosa faranno le televisioni dichiarava il presidente rossoblu Preziosi lo scorso 11 maggio – e stiamo aspettando che vengano rispettati gli accordi, ma il Genoa avrebbe tra i 20 e i 30 milioni di danni” (clicca QUI per l’intervista completa). In questo contesto ancora tutto da chiarire, abbiamo provato a capire che tipo di impatto potrebbe avere il Genoa.

La metodologia usata

Nella tabella siamo partiti da un’ipotesi di chiusura per l’anno 2020 basandoci sui dati del bilancio 2018 e su alcune valutazioni più aggiornate basate sulle operazioni di calciomercato. L’ipotesi formulata è lo scenario “peggiore” e prevede:

  • interruzione definitiva del campionato;
  • mancato incasso della quota parte di diritti televisivi per il secondo semestre;
  • riduzione di ricavi per sponsor, pubblicità, merchandising;
  • riduzione proventi da calciomercato;
  • mancato accordo con i calciatori per la riduzione degli stipendi.

Ciascuno dei valori è stato poi diviso nei due semestri e sono state ipotizzate delle percentuali di riduzione, secondo le seguenti logiche:

  • Stadio: l’ipotesi di chiusura degli impianti fino a fine anno comporta un impatto del 35% sui ricavi del primo semestre (restituzione abbonamenti e mancati incassi) e del 100% sulla quota del secondo semestre.
  • Diritti TV: questo scenario prevede una riduzione del 25% degli incassi dovuta all’assenza di eventi da marzo a giugno ed al probabile minor valore pubblicitario delle partite per gli emittenti televisivi nel caso di trasmissioni di eventi sportivi senza pubblico.
  • Sponsorizzazioni: non dovrebbero esserci effetti per il primo semestre, mentre è possibile che si debbano rinegoziare alcuni contratti per il prossimo anno.
  • Pubblicità: nel caso del Genoa è essenzialmente legata allo stadio, quindi vengono riprese quelle percentuali.
  • Commerciali: è ipotizzato una forte riduzione dovuta alla chiusura degli esercizi commerciali ed un suo trascinamento nel secondo semestre.
  • Spese generali: è verosimile che il lock-down abbia ridotto parte delle spese generali (viaggi e trasferte, ma non solo) nel corso del primo semestre.
  • Calciomercato: nessun impatto nel primo semestre, perché le operazioni erano già state realizzate a gennaio. Impatto significativo per il secondo semestre, basato sul mercato estivo.

Il risultato

Partendo dalla nostra ipotesi di 2020, l’impatto complessivo sui conti del Genoa potrebbe arrivare a 28 milioni di euro.

Questa cifra sarebbe fortemente influenzata da due voci, come possiamo vedere: la riduzione dei diritti televisivi (-11,2 milioni) e la riduzione dei ricavi da calciomercato (-12,5 milioni), che da sole rappresentano l’84% del totale. Non dobbiamo stupirci della cosa, considerando che il Genoa, come buona parte delle altre squadre di Serie A, basa il suo bilancio proprio su queste due voci: se osservate l’ipotesi di partenza “normale”, vedrete che fra diritti tv e calciomercato otteniamo 65 milioni di euro, che rappresentano 70% dei totale delle entrate.

Le possibili soluzioni

Una possibile (probabile) soluzione, quanto meno per fronteggiare la situazione di breve periodo (giugno), è quella di replicare gli accordi che sono stati raggiunti da altre squadre con i calciatori in merito ad una riduzione dei loro stipendi.

Questo perché, se è vero che le squadre di calcio hanno i loro ricavi polarizzati su diritti televisivi e plusvalenze, è altrettanto vero che i costi sono altrettanto condizionati dal personale: nel caso del Genoa parliamo di circa 50 milioni di euro all’anno (il resto riguarda i dipendenti non tesserati) che rappresentano da soli il 60% del totale.

Adottando lo stesso criterio che abbiamo utilizzato per i ricavi, e cioè ipotizzando una rinuncia dei compensi per il periodo da marzo a giugno 2020, si otterrebbe un risparmio di 18 milioni di euro: non è una cifra sufficiente per compensare l’intera perdita, ma certamente è utile a mitigarla e rendere l’annata più sostenibile.

Il vero problema è che questa situazione avrà un effetto di trascinamento certamente sul secondo semestre (per alcune voci, vedi lo stadio, anche peggiore del primo) ma poi non esaurirà i suoi effetti. Se, come è lecito ipotizzare, ci attende un periodo di contrazione economica e dei consumi, è ragionevole che anche il sistema calcio ne risenta.

Forse, allora, sarebbe il momento di affrontare il nodo della sua sostenibilità alla radice, approfittando del fatto che tutti i campionati sono nella medesima situazione, rivedendo alla base alcune delle impostazioni attuali. Su tutte, il “problema” del costo dei calciatori, che drenano una parte considerevole dei ricavi.

Una possibile soluzione, raggiungibile solo se tutte le principali Federazioni si accordassero, è di reimpostare i contratti con i calciatori spostando una parte importante dei loro compensi dal fisso al variabile, legandola cioè ai risultati della squadra.

Per fare un esempio concreto, partecipare o meno alla Champions League rappresenta per una squadra di Serie A un introito addizionale che può andare dai 40 ai 60 milioni di euro: se il contratto con il calciatore prevedesse un costo fisso parametrato alle entrate “standard” della partecipazione alla Serie A e una quota variabile direttamente legata ai ricavi addizionali che la sua attività ha portato, probabilmente avremmo un sistema più sostenibile, anche nel caso di eventi particolarmente drammatici come quello che stiamo vivendo.

È probabilmente un’utopia, ma, forse, potrebbe essere una delle poche soluzioni che potrebbero “rimettere in bolla” l’intera economia del calcio e renderla anche più sana, meno esposta – ad esempio – ai giochi del calciomercato. Tra l’altro, se non si approfitta di questo momento in cui effettivamente tutti potrebbero essere interessati, è praticamente impossibile pensare di riuscirci, posto che se l’iniziativa fosse presa da una sola Federazione, è evidente che i calciatori si sposterebbero in altri campionati che non prevedono questo tipo di limitazione.