Nel corso della trasmissione Punto Nuovo Sport Show, Pino Capua, presidente Commissione Antidpong FIGC, ed Enrico Castellacci, presidente LAMICA (Libera Associazione dei Medici del Calcio) sono intervenuti per commentare le ultime vicende legate al mondo del calcio e, in particolare, alla richiesta che i medici del calcio si assumano le responsabilità penali e civili di eventuali mancate applicazioni dei protocolli sanitari. Un tema spinoso e fondamentale, per il quale già qualche medico sociale avrebbe paventato le dimissioni, come spiegato dal presidente Enrico Castellacci.

Chi ce lo fa fare di prenderci questa responsabilità? Bella domanda. Il medico non è un eroe, ma un professionista serio che si assume le responsabilità che gli sono dovute per la professione che svolge. Lo fa anche in questo caso: da tanto tempo continuo a ribadire che il medico del calcio è sempre stato l’anello debole della catena, se considerate che spesso non ha un contratto – e se lo ha, lo ha ad uso privatistico – e non lo ha depositato in Lega. Da questo punto di vista non è una figura tutelata. Il paradosso è che la figura più debole nel mondo del calcio, la meno tutelata, si ritrova ad essere la figura fondamentale, la più critica. Ma era ovvio che la responsabilità dovesse ricadere sul medico del calcio, tant’è che la nostra associazione è assente al tavolo della medesima Federazione. Mi fa sorridere pensare che ora il tavolo della commissione dovrà porre questo grosso problema in assenza dell’associazione che tutela i medici del calcio. Dovranno essere fatte delle verifiche e per questo abbiamo già allertato i nostri avvocati Porcaro e Palla affinché facciano le loro osservazioni dopo aver letto il protocollo.  Ho già ricevuto, specialmente dalla Serie B, lettere di colleghi che preannunciano le loro dimissioni se non viene chiarito il discorso sulla responsabilità penale. I medici del calcio devono essere tutelati: si assumeranno le loro responsabilità, ma le società si dovranno assumere le loro responsabilità perché i giocatori sono dei lavoratori e i club sono i loro datori di lavoro. Devono essere nominati dei medici del lavoro che dovrebbero affiancare i medici del calcio nel fare rispettare queste linee guida. È una situazione difficile che andrà valutata con grande attenzione”. 

“Sono totalmente in condivisione con quanto dice Castellacci – prosegue Pino Capua, che si allinea pubblicamente sulla linea tracciata dal collega Castellacci – perché Enrico che si batte da anni in un contesto nel quale tutti quanti noi, medici e traumatologi, dovremmo avere lo stesso obiettivo. Non si sa perché vi sia questo fatto che i medici non abbiano una identificazione giuridicamente precisa all’intento del nostro mondo. In questi giorni stiamo organizzando una commissione che servirà a valutare, all’interno della FIGC, questa problematica. Mi auguro che questa condizione sia risolta a prescindere. In un contesto del genere manca Lamica, perché quando ci riuniremo chiederò ufficialmente che venga convocata e venga ad essere presente all’interno di un contesto che deciderà tutto quello che il calcio farà da domani. Paradossale che siano esclusi dalle decisioni da prendere e poi debbano firmare loro i certificati di idoneità? È un problema di competenze. La competenza che ha un medico del calcio in una tal situazione la si comprende anche dalla risposta data ieri dal Comitato Tecnico-Scientifico, che ha detto: “va bene tutto, ma i medici devono prendersi loro la responsabilità” a fronte di un protocollo dove i medici non ci sono. Sono estremamente convinto che la presenza di un’associazione precisa di medici del calcio sia indispensabile. In questo momento di emergenza non c’è da tralasciare nulla: vanno interpellate tutte le parti in causa. Fin dal primo giorno chiamai Enrico Castellacci chiedendogli se fosse stato interpellato. Sul discorso dei medici bisognerà sedersi al tavolo e valutare con equilibrio in funzione delle responsabilità, delle competenze che loro hanno e delle funzioni che il Governo gli sta dando per cercare di trovare una quadra che sia equilibrata per tutti e metta tutti d’accordo. Credo che la professionalità del loro capo Castellacci – lo dico senza voler essere troppo amico – È quella che serve per cercare di risolvere un problema che così com’è non si risolve. Se non si trova una soluzione il campionato non riparte, ma siccome è volontà di tutti farlo ripartire penso che una soluzione la si troverà. Il contagio zero probabilmente non ci sarà né a settembre né a novembre”.

Successivamente, sul discorso di una squadra intera in quarantena in concomitanza con anche un solo giocatore positivo, il presidente Castellacci è chiaro. “Ovviamente si crea un grosso handicap: si fosse seguita la linea alla tedesca, sarebbe stato più facile. Avremmo messo in isolamento un solo giocatore e gli altri tamponati progressivamente. Qui si ventila una ripresa ventilando con altrettanta facilità una chiusura. Al di là dei quattordici giorni blindati, una volta che si iniziano le trasferte il pericolo di contaminazione è significativamente più alto. Basta un solo caso di positività e non solo si blocca una squadra, ma un campionato. Ci sono perplessità evidenti sulla volontà di iniziare o meno il campionato. Non è soltanto un problema di assicurazione, ma una volta scritte le linee guida, quelle linee faranno testo. Un domani ci fosse un contenzioso penale, un giudice dirà che il medico doveva attenersi a quelle linee. Dal punto di vista medico e logistico bisogna che i medici siano in grado di attuarle, altrimenti si ritrovano in mano una bomba ad orologeria. Servono protocolli ad hoc. E si dica un’altra cosa di cui nessuno sta parlando: che si riprenda o non si riprenda il campionato, i giocatori dovranno comunque allenarsi e non solo in Serie A, perché sono professionisti anche in Serie B o Serie C, dove neanche all’inizio gli allenamenti avverranno in centri blindati o virus-free. La FIGC dovrà mettersi nell’ottica di fare protocolli anche in questa direzione”. 

“Faccio una domanda. Si vuole davvero ricominciare oppure si cerca di frenare il tutto? Se basta un positivo al COVID-19 fra tutti gli atleti o dello staff tecnico per far chiudere un campionato, non so quanto realmente lo si voglia portare avanti. Non è che da qui a settembre cambieranno molte cose, probabilmente si abbasserà il contagio e con lui la prepotenza, ma il pericolo resterà sempre lì e dovremo convivere con il virus per parecchi mesi. Sempre con cautela, stando in sintonia con le disposizioni virologiche, bisognerebbe avere il coraggio di portare avanti il campionato. Ma il concetto è: c’è davvero questa volontà oppure no? Teoricamente, sembra che vogliano farlo ripartire, ma toccando dei punti chiave che purtroppo sono grossolani. Il fatto stesso che basti un caso di COVID-19 per bloccare una squadra o un campionato ci fa capire come sia facile che possa avvenire. Non tanto nel momento in cui le squadre saranno in ritiro blindato ma quando i giocatori faranno trasferte o torneranno nelle rispettive case, entrando magari in contatto con qualche sintomatico. Qualora avessero voluto cominciare con più coraggio, avrebbero scelto opzione tedesca; invece, se hanno optato di usare più cautela, è una decisione che capisco e accetto ma sarà una strada un po’ più difficoltosa”. 

Conclude Capua: “L’obiettivo è quello di tutti, ma l’impressione è che questo documento metta i bastoni fra le ruote: il discorso della Germania mi pare percorribile anche in Italia: se l’hanno fatto loro, perché non possiamo farlo noi? Premier League e Liga lo useranno? È quello che dobbiamo cercare di ottenere, ragionando fra persone serie, civili e professionali”. 


Mai dire gatto…