Il tecnico del Genoa Davide Nicola, cento panchine in Serie A nell’ultima trasferta contro il Milan, è tornato a casa con la famiglia. Dalla sua dimora ha parlato molto di Genoa, e sul tema è ormai un libro aperto: il suo legame con la città e coi colori rossoblu è fortissimo e non manca occasione per ribadirlo. La certezza è che se il campionato riprenderà, non getterà fino all’ultimo la spugna per salvare la pelle del Grifone. In questi giorni di quarantena abbiamo voluto però conoscerlo meglio come allenatore, educatore, osservatore, vero e proprio coach.

Per fare una squadra, anche se non di prima fascia, prima l’uomo o prima il calciatore?

“Uomo o calciatore è la stessa cosa: preferisco parlare di professionisti”.

I calciatori per esprimersi meglio hanno bisogno di lavaggi di cervello?

“A mio parere i giocatori per esprimersi al meglio hanno bisogno di conoscere e credere nel lavoro. Il mio credo prevede la condivisione e la consapevolezza dei percorsi per arrivare a raggiungere gli obiettivi prefissati”.

Il compito di un tecnico è quello di aiutarli ad esprimersi meglio perché dopo questo lavoro ruoli e schemi vengono di conseguenza?

“Mi allaccio alla risposta precedente: rendere i giocatori consapevoli vuol dire metterli a conoscenza di quello che si vuole raggiungere (obiettivi) e soprattutto indicare loro la strada del come raggiungerlo (mezzi). Questo processo è fatto sia di studio che di lavoro in campo. Guidare i giocatori significa utilizzare diversi stili di guida, per alcuni curarne la crescita o trasferire esperienza (stile coaching); per altri c’è una condivisione di nuove idee (stile partecipativo). Lo stile autorevole viene rappresentato dalle norme e dai principi di gioco e poi ce ne sono altri ancora”.

Sono meglio nella tua squadra tre giocatori duttili o tre fuoriclasse anche se poco partecipi al gioco che però decidono le gare?

“Non metto le due cose in contrapposizione, mi piace piuttosto riflettere sul concetto di fuoriclasse, adesso faccio una domanda a voi: un giocatore duttile che sa ricoprire più ruoli molto bene non è un fuoriclasse? Per me sì”.

Come vedi i numeri 10? Intendo quelli di una volta…

“Io sono amante della tecnica, della fantasia, della pura classe cristallina purché sia messa al servizio della squadra”.

Prima vengono giocatori e dopo il modulo o viceversa?

“Quello che conta veramente per me è trovare il vestito giusto per la mia squadra, che sia adatto per ogni “battaglia” avendo identità e uno stile di gioco aggressivo e propositivo”.

Le quisquiglie tattiche evaporano di fronte allo spessore dei fuoriclasse?

“Il fuoriclasse deve essere libero di esprimersi al servizio della squadra, perché con l’aiuto dei compagni potrà esprimersi al meglio lui e soprattutto il concetto di gioco corale”.

Il sistema di gioco è relativo? Contano più: impostazioni individuali, marcamenti, inserimenti, combinazioni di gioco?

“Il sistema di gioco non è per me una priorità, ma un mezzo per sviluppare i miei principi di gioco e sfruttare le qualità dei giocatori a disposizione”.

Le partite le prepari attraverso un perfezionamento tattico a seconda degli avversari da incontrare?

“Tutta la settimana di lavoro dai video-studio alle esercitazioni tecnico-tattiche è preparata sulle strategie di gioco che andremo a proporre la partita successiva, ogni cosa è curata nel minimo dettaglio”.

Le lavagne e i filmati vivisezionati dallo staff sono sempre all’ordine del giorno per capire la filosofia del proprio tecnico e degli avversari?

“Lo studio degli avversari viene supportato da strumentazioni e analisi che permettono al mio staff di non tralasciare niente, ho abituato loro alla cura del particolare e del dettaglio, perché solo così si può ambire ad ottenere sempre il massimo”.

In base a quali considerazioni scegli di variare il ruolo di un calciatore?

“Non è una cosa semplice. In carriera mi è capitato di cambiare ruolo a dei giocatori, a volte per esigenza e altre per intuizione: ad esempio Rodrigo De Paul, che da attaccante esterno ho trasformato in mezzala, contribuendo così alla sua chiamata da titolare nella nazionale argentina in occasione dell’ultima Coppa America. Ci sono anche altri esempi, tipo Pasquale Schiattarella che da esterno è diventato uno dei centrocampisti fondamentali nelle stagioni della Spal o del Benevento quest’anno”.

Al Genoa ha continuato con la difesa a tre con tre centrali. Perché?

“Ho deciso di mantenere la difesa a tre in base alle caratteristiche dei miei difensori, anche se nello sviluppo del gioco spesso ci si trova a variare il sistema con il movimento dei due difensori esterni, oppure cambiando l’interprete”.

Le caratteristiche degli attaccanti a disposizione influenzano il progetto di possesso pallone?

“Assolutamente no, anche perché nel mio modello di gioco cerco di educare i miei giocatori all’occupazione degli spazi, quindi se uno fa un movimento ci sarà un altro pronto a farne un altro. Il mio calcio è fatto di movimenti condivisi e soluzioni di passaggio”.

Che consiglio daresti ad un giovane allenatore che deve decidere un modulo?

“Consiglierei di credere in alcuni principi, di crearsi una filosofia di gioco e di essere sempre pronto a migliorarla, modificarla, e sostituirla nel caso non funzioni”.

Ma qual è il suo modulo preferito?

“Non ho un modulo preferito, come ho già detto in precedenza ho dei principi preferiti e una interpretazione passionale di questi”.


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