Dopo le due finali di Europa League e Champions giocate da squadre inglesi la parola sulla bocca di tutti è: altro che Brexit. L’Inghilterra si prende l’Europa del calcio.

Siccome tutto il mondo come il calcio è paese,  le due finali europee non hanno lasciato il segno come le semifinali. Non belle Chelsea e Arsenal così come Tottenham e Liverpool.  Ha lasciato il timbro e se lo meritava Klopp, la stella del cielo dei Reds.

Bravo il Liverpool a schiacciare con la pressione la squadra londinese pronta ad esprimere il suo calcio concreto, spietato, cinico col quale aveva fatto fuori l’Ajax. Partita che non ha fatto vedere nulla delle semifinali perché condita da tatticismo, giro pallone, tackle, errori di transizione della sfera, poca verticalità e pochi tiri in porta. 

Tottenham e Liverpool schiacciate dall’ansia del risultato sono apparse figlie del nostro campionato. Pochettino e Klopp hanno giocato a bloccare le idee dell’altro. Solo un episodio poteva cambiare tutto ed è stato quello del rigore al primo minuto di gioco. L’arbitro lo ha punito con troppa sicurezza senza aspettare conferma del Var. 

Il tocco c’era tra spalla e braccio, la postura del giocatore Sissoko ha ingannato il direttore di gara. Una massima punizione al primo minuto di gioco non doveva e poteva condizionare una finale di Champions, anche se fosse successo da alte parti sarebbe scoppiata una rivoluzione.

Il football inglese è rimasto all’apice dell’Europa perché oltre che i più ricchi sono anche i più forti. Non sappiamo se siamo all’inizio di una dittatura calcistica come successe con la Spagna. La Premier dominerà il calcio europeo e mondiale? La risposta a fine agosto. Anzi no, prima: quando gli allenatori avranno valutato le lusinghe che arrivano dalle squadre big di Europa.

Probabilmente non succederà perché l’indizio principale arriva dai bilanci delle squadre inglesi, non solo della Premier. Il calcio inglese nel campionato 2017/2018 ha toccato i 5,4 miliardi di euro di ricavi, il doppio di quello di Lega Serie A. Sono solo soldi e fanno e faranno la differenza? Sì perché non sono tenuti nelle tasche, ma sono investiti nuovamente in giocatori, allenatori e strutture, non creano plusvalenze.

Gli investimenti del calcio inglese sono evidenti: hanno comprato i calciatori migliori e cercato gli allenatori maestri nel mondo. L’allenatore della prima in classifica è spagnolo, della seconda è tedesco, della terza è italiano, della quarta è argentino.

Alla fine di questa stagione i dirigenti delle altre squadre dovranno chiedersi perché tutte quelle che hanno dominato l’Europa negli ultimi cinque anni sono rimaste indietro: Real, Atletico, Barcellona, Juventus. In Italia invece dovranno chiedersi perché le squadre italiane falliscono anche in Europa League.  L’ultima Coppa Uefa, che non era Europa League, è stata vinta nel 1999 dal Parma di Tanzi.

In Italia gli allenatori inseguono ancora il tiki-taka o tentano di rivisitarlo, mentre in Inghilterra l’intensità lo ha azzerato. Intensità che fa specie vederla anche nei giocatori stranieri che sembrano albionici degli anni passati.

È da una vita che nel nostro di calcio si parla del calcio olandese però difficilmente è stato applicato: oltre l’aggressività, l’intensità, la caratteristica principale era – ed è adesso come nel campionato della Regina – la ricerca del risultato tramite la fisiologica necessità e volontà di andare a rete e fare gol. I soliti malati della tattica e dei numeri dei moduli diranno che se l’Aiax avesse giocato una parte della gara all’italiana contro il Tottenham sarebbe in finale.

La differenza tra il calcio inglese e quello italiano non è solo sul campo. Ad esempio il Tottenham ha investito un miliardo per rifare lo stadio e coltivare un tifo sempre presente. In Italia hanno rifatto qualche stadio e come punto di riferimento ci metto le tribune stampa frequentate:  se un addetto ai lavori supera gli 80 kg di peso fa fatica a sedersi e dopo vogliono  comunicazione e cronaca.

Dopo i legittimi complimenti al calcio inglese sarebbe interessante sapere dai nostri vertici cosa manca a quello italiano per intraprendere solo una piccola parte di  quella evoluzione.

Mettiamo da parte le rimonte impossibili, già nel DNA delle squadre di Oltremanica: è così difficile per i tecnici italiani far giocare le squadre a reparti pronti a condensarsi nel riconquistare subito il pallone attaccando l’avversario già dalla fase di impostazione con un pressing asfissiante? D’accordo, la strategia inglese è rifinita da grandi calciatori, ma avere grandi giocatori non basta se non hai questa struttura come ha dimostrato la Juventus che si arresa. Il calcio inglese passa dagli esterni di grande velocità, dalla predisposizione negli inserimenti senza pallone e dai tocchi filtranti in profondità a tagliare le difese. Il calcio italiano invece oltre la tattica che ha stimolato poco nell’ultimo campionato,  eccetto l’Atalanta, non ha avuto una strategia e idea vincente: passare il pallone al portiere come nel calcetto, al passaggio laterale e tanti passaggi per finalizzare l’azione, non ha divertito e senza le discussioni sul Var non avrebbe animato i fine settimana.

Chissà se lo si è capito che il calcio inglese vive nella estrema dinamicità del dare “scacco matto”  al gioco orizzontale.

Chissà se la lezione presa dalla Juventus in Europa è stata capita. Se non investi in difesa e a centrocampo conta poco avere campioni come CR7 che aveva vinto 5 coppe con le orecchie, non da solo.

Chi vuole vincere in Europa deve mettere da parte i parametri zero nell’ingaggiare i calciatori, impossibile che i dirigenti non si chiedano perché grandi squadre non rinnovano i contratti.

Oggi, all’inizio del mese di giugno 2019 siamo lontani, anzi lontanissimi dal calcio inglese. Succederà qualcosa durante questa estate per avvicinarlo? Difficile visto il movimento sulle panchine dove conterà ancor di più il risultato prima del gioco e  dei calciatori. Importante sarà menarlo, che vuol dire condurre un calciomercato di favole e di show.