Il VARicocele, già scritto al termine del girone di andata dello scorso anno e ripreso lo scorso dicembre, è una dilatazione del regolamento. E visti i consigli, come nella malattia, se non si porranno rimedi gonfieranno i palloni in particolare in questo momento del campionato dove gli interessi non solo di classifica e di portafoglio sono tanti.

Si gonfiano i palloni  quando di mezzo ci sono le cosiddette big a caccia di euro Champions.

Si gonfiano i palloni perché alcuni arbitri non sono all’altezza sul campo e dietro le TV.

Si gonfiano i palloni per le giustificazioni assurde del giorno dopo per il fallo, la richiesta e non di VAR se avviene al Nord o al Sud d’Italia.

Non è cambiato nulla anche dopo i proclami di Rosetti e Rizzoli. Non si continua a capire,  nascondendosi dietro al protocollo, se è l’arbitro dietro la Tv che deve indirizzare l’arbitro in campo o viceversa.

Il VAR viene utilizzato male. Provare a mettere da parte il protocollo fino alla fine del campionato sarebbe di giovamento per tutti. Il nodo da capire è se quelli in campo si fidano di quelli dietro la tecnologia.

Si sono gonfiati i palloni con il cambio di protocollo e delle sole due parole “chiaro e evidente errore”: un boomerang per VAR e arbitri che non ha portato benefici.

Ricopio quello già scritto a dicembre: “I problemi sono a Monte. Nell’Aia associazione italiana arbitri i panni si lavano spesso in famiglia ma qualche volta qualcuno con gli amici li stende. Nel raduno di Sportilia dello scorso luglio gli allievi  senza i maestri arbitri in campo e fuori si sono confrontati sul Var dello scorso anno e sull’esclusione di Gavilucci di Latina per motivi tecnici salvando il figlio di papà (inutile fare il nome già scritto e detto) e tutto potrebbe essere accaduto per i consigli del Var nelle prestazioni del laziale. In quelle discussioni tra arbitri è nato il problema Var dello scorso anno (che continua). Quando davanti alla Tv c’era l’anziano direttore di gara comandava  lui, viceversa quando era in campo il Var poteva solamente provare a  parlare per auricolare”. Tutto provato da un esordiente, Massimi di Termoli, trent’anni a novembre,  che al Ferraris rischiava di essere sconfessato da Mazzoleni, 200 gare in Serie A, per un giallo da trasformare in rosso. Andato a rivedere l’episodio, non ha cambiato idea neppure guardando la televisione e, successivamente, non è andato a rivedere l’episodio da rigore contro i sardi che ha scatenato un putiferio.

L’attuale Var è soggettivo e talvolta anche ignorato: il vero problema la fiducia tra i direttori di gara, il bisogno profondo d’avere lo spirito tranquillo, condizione essenziale per un arbitraggio sereno. Il matrimonio tra VAR e arbitri va al di là dei dati di facciata snocciolati ad ogni conferenza di Rosetti, anche se nel computo di tante gare non sono consoni perché una partita di calcio non si gioca solo dentro le aree di rigore, dove non si fischia e applica la regola 12 su “Falli e Scorrettezze”. Il problema vero, come in tutti i campionati, nascerà dal mese di marzo dove gli errori conteranno il doppio. Chi va in campo penserà: “avverrà un accidente, se ne avrò uno, me la caverò come potrò, vorrei arbitrare in pace“.

Meglio ricordare che è arrivato il momento che l’Aia e Rizzoli davanti alla Tv non mandino più arbitri in attività e vogliosi di non perdere il treno di andare a dirigere in campi importanti, partite importanti per colpa del tubo catodico e del compagno in campo: sudditanza ma solo psicologica.

Occorre subito mettere dietro le Tv arbitri o commissari di campo usciti dal ruolo, con esperienza sul terreno di gioco,  invece che designazioni allucinogene di giovanotti in piena maturazione arbitrale o di arbitri arrivati, qualcuno dalla porta di servizio, in serie A e in serie B. Se il budget di ogni singolo arbitro diminuisse, pazienza, anche perché tutto succede in ogni giornata di campionato. Basta vedere le designazioni dove assistenti, quarto uomo e Avar arrivano dalla stessa regione della squadra prima nominata.

Altra soluzione potrebbe essere quella di mandare in campo arbitro e collega di cui si fida dietro la TV. Le famose terzine in campo del passato, sempre le stesse, che avevano dato risultati.

La soluzione di Nicchi di dare i voti partita per partita ad arbitro, assistenti e VAR per non ricadere in altro caso Gavilucci, non ha dato risultati. L’unico problema che sarà sempre di numeri quando si faranno i conteggi finali. Per sopperire a tutto, continuando a fare il Gattopardo, basta aumentare il voto a chi si vorrà far passare la prossima stagione in B e in A. In casa AIA si vocifera che il prossimo anno  potrebbe finire la classificazione tra arbitri di serie A e B, divisione assurda del 2010 di Nicchi e Collina che sta lasciando la categoria arbitrale in braghe di tela considerato che sono stati pochi i direttori di gara che hanno avuto la possibilità di crescere e di mettersi in evidenza.

Salvare il soldato VAR dagli arbitri? Il problema non può essere la tecnologia ma chi la utilizza e gli accordi che si prendono prima di una gara. Una volta i rigori non si segnalavano, ma si facevano capire al primo arbitro mettendosi la bandierina in mezzo alle gambe. Adesso l’assistente non conta nulla, il fuorigioco ormai è multimediale. Sono in campo solo per le rimesse laterali e calci d’angolo.

Il momento psicologico della classe arbitrale è difficile e complesso: “se assecondo la televisione, do ragione a chi dice che non contiamo più nulla. Se non la assecondo sbaglio di mio e mantengo una inopportuna, antiquata indipendenza di giudizio che non può più esserci dall’arrivo del VAR“.

Gli arbitri che vorranno fare strada hanno gli elementi da utilizzare: applicare il Regolamento e non fare i Ponzio Pilato ribaltando le parole “principi” che hanno scombussolato arbitri e tecnologia: “chiaro e evidente errore”. Nel dubbio, anche se non evidente e chiaro, è meglio andare davanti alla TV. Pazienza se le gare dureranno di più. Per sopperire a tutto ciò prossimamente discuteranno dell’orario effettivo di gara 60’. L’orologio si fermerà quando il pallone non rotola sul terreno di gioco.