Dopo avervi proposto ieri la seconda parte dell’intervista a Mario Tullo, promotore dopo il 1989 della Cooperativa “Genova Insieme” che avrebbe promosso il dialogo tra istituzioni e ultras. Oggi si parte da Inter-Napoli, specialmente dai suoi postumi mediatici e politici, per arrivare a raccontare di come la violenza fuori dagli stadi fosse stata affrontata con successo a Genova. Perché “gli ultras sono ultras in tutti i sensi”. E di iniziative positive, solidali, benefiche e rimaste nella memoria ne hanno inanellate parecchie.

“Da parte mia, oggi, è difficile inquadrare il fenomeno ultras se non come uno che guarda questi fenomeni come atti di cronaca, assistendo a scene che non vorrei magari vedere. L’esperienza che ho condotto io quando ero consigliere comunale di Genova, assessore allo Sport e in dieci anni da parlamentare, mi ha fatto interloquire con diversi governi. Ciò che abbiamo fatto a Genova è legato agli anni Novanta, quindi si parla di trent’anni fa. Era un’altra stagione del tifo organizzato, diversa da quella degli anni Settanta e diversa, credo, anche da sulla del giorno d’oggi. C’erano gruppi che tenevano più unite le gradinate, mentre oggi ci sono articolazioni diverse”.

“La stagione della Cooperativa “Genova Insieme” ha coinciso con la mia prima esperienza in Consiglio comunale. Non avevo neanche trent’anni. Rimasi scioccato dopo quanto accadde in via Fereggiano (16 maggio 1989, ndr), come tanti. Succede a campionato finito, a freddo. La mia reazione fu questa: visto che ogni volta che accade qualcosa di questo genere si dice “le società facciano la loro parte”, “la stampa faccia la sua parte” e tutti quelli che dicono che qualcuno dovrebbe fare la propria parte non si mettono mai in gioco per fare la loro di parte, decisi di avviare un dialogo con gli ultras di Genoa e Sampdoria”.

“Con quelli del Genoa giocavo in casa, era un ritorno senza fatica perché conoscevo tutti, conoscevo l’ambente con tutte le sue contraddizioni e positività. E così pensavo fosse anche la componente sampdoriana, che conoscevo meno. Così iniziammo un rapporto che non era un rapporta “dare-avere”. Era un rapporto in cui non dare nessuna giustificazione agli atti di violenza, ma iniziare a comprendere come un’azione buona poteva mettere in evidenza ciò che di positivo una curva può esprimere. Furono gli ultras che con determinazione, all’epoca, decisero di intraprendere questo percorso. Visto che all’epoca il Comune di Genova spendeva un miliardo di lire nella pulizia dello stadio Ferraris, la prima cosa che si fece fu costituire una Cooperativa che cosava la metà e impegnò dieci ragazzi. Si trattava di una Cooperativa di tipo “B” dove il 30% dovesse essere composto da fasce svantaggiate. Quindi ci si doveva fare carico anche di quelle tre persone che avevano problemi di carattere psicofisico. Quell’esperienza lì non è oggi riconducibile a quello che sono le gradinate di Genoa e Sampdoria, ma il fatto che quella cooperativa esista ancora a distanza di 26/27 anni, con oltre cento dipendenti, è un fatto d’orgoglio. Roberto Scotto ne è il presidente, Salvatore Carta il vicepresidente”.

 

“In quelle stagioni si riuscirono a fare cose straordinarie, a Genova prevalse il dialogo. Ricordo ancora quando i costruttori genovesi regalarono un’auto-medica alla pubblica assistenza durante i lavori di ristrutturazione dell’Expo. E io, quasi per scherzo, dissi che anche noi ci saremmo impegnati e ne avremmo regalata una come ultras. E dopo il periodo tra il derby d’andata e quello di ritorno (erano gli anni tra ’94 e ’95), infatti, girò questa macchina con scritto sopra “Donata dalla Fossa dei Grifoni e dall’UTC”. Poi ci furono gli aiuti in Bosnia: si era pensato a un camion. Ma gli ultras sono gli ultras in tutti i sensi: infatti alla fine ci sarebbero voluti tre tir”.

“La chitarra di Fabrizio De Andrè? I primi ad attivarsi per acquistarla furono gli ultras del Genoa, poi la questione si allargò agli operatori e all’assessore del commercio. Alla fine la acquistammo con 160 milioni di lire. Ma ancora prima ricordo, raccolti da ultras del Genoa e della Sampdoria, i primi fondi per Emergency per donare le prime protesi. Ricordo in fatti che mi venne questa idea partecipando a una presentazione di Gino Strada in Provincia dove si vedeva che un bambino, appena uscito da un ospedale di strada in Afghanistan con una protesi, colpiva un pallone. C’è anche un video di Emergency dove quei ragazzi giocano un derby in Afghanistan con undici maglie del Genoa, undici della Sampdoria“. 

“Tutto questo non ha risolto per sempre i problemi. Ci son stati ovviamente altri episodi di violenza, un ragazzo del Genoa ha perso la vita per il calcio e ha subito violenza da un gruppo organizzato di Milano. Ci sono state delle ricadute. Penso che però l’approccio che la politica dovrebbe avere, anche oggi, sarebbe quello di sapere coniugare al dialogo, quando necessario, un’azione di carattere repressivo. A Genova in quella stagione prevalse il dialogo sulla repressione. Anche la Questura si dotò di un ufficio stadio in cui si capì che lo strumento giusto era dialogare. A differenza di altri, un percorso del genere lo abbiamo fatto quando questi ragazzi avevano trent’anni, e se lo si fosse fatto in tutta Italia un percorso del genere si sarebbe affondato questo tipo di fenomeno in quegli anni, quando le persone avevano ancora una vita davanti da giocarsi. Ma ho anche una consapevolezza: gli stessi che si rendono protagonisti di quelle coreografie per cui tutti ci esaltiamo o che compiono i gesti umanitari che abbiamo detto, potevano lo stesso pomeriggio essere protagonisti di un episodio negativo. C’è questa grande contraddizione. E gli ultras stessi te lo dicono: apprezzano più questo mio ragionamento onesto a quello di chi dà loro una pacca sulla spalla, ma poi magari…”

“Come giocherei oggi la mia partita con gli ultras? Sarebbe molto più complicato. Ho sempre detto agli ultras che, pur di fronte a più di un mio ragionamento a loro sostegno, non potevo che condannare fermamente la violenza. Non vi è mai stata comprensione della violenza. In alcuni casi gli ultras sono stati difesi da me, ancora recentemente. Da parlamentare, ad esempio, presentai un’interrogazione parlamentare contro oltre cento ultras della Sampdoria raggiunti dal Daspo al Livorno. Vi era un vuoto normativo che questi ragazzi non dovevano pagare. Genova è una città grande, ma piccola, dove tutti ci conosciamo e dove per le istituzioni – se ne hanno voglia – e per le forze dell’ordine si può entrare più facilmente in relazione. In città più grandi la gestione è più difficile.

Un segnale va dato. Nella nostra ultima legislazione, ad esempio, abbiamo portato il Daspo da 5 a 8 anni. Non ci furono grandi proteste contro quella misura, ma non perché gli ultras fossero contenti di quella misura. Piuttosto perché provammo a correggere il fatto che chi era stato sottoposto a Daspo, e lo aveva scontato, dovesse continuare a non comprare biglietti per lo stadio. Una volta scontata questa pena, che è amministrativa e non penale, si deve poter tornare allo stadio: altrimenti lo Stato non ha vinto e, soprattutto, non ti ha rieducato a vivere un evento sportivo con serenità”.


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