A due giorni dalla sfida tra Genoa e Fiorentina, Pegli si è trasformata nella cornice per la presentazione ufficiale del nuovo tecnico, Daniele De Rossi, affiancato in conferenza stampa dal nuovo Chief of Football rossoblù, Diego Lopez. Un doppio battesimo rossoblù, insomma, a 48 ore da una gara importantissima al Ferraris contro i Viola.
“Prima di tutto, siamo qui per dare il benvenuto a Daniele, nostro nuovo allenatore – esordisce Diego Lopez – Da parte mia ringrazio la società, il Presidente Sucu e Blazquez per la possibilità di laborare qui come Chief of Football. Ho trovato una società strutturata e mi riconosco nei valori del Genoani, che da tanti anni vedo al Ferraris. Ringrazio la società e il lavoro di Vieira e del suo staff per il lavoro fatto con la squadra, capendo in un momento di difficoltà come fare risultati. Grazie di cuore anche a Criscito e Murgita che si sono presi la responsabilità in un momento molto, molto difficile: abbiamo vinto anche grazie al loro amore per il club. Abbiamo bisogno di persone così”.
“De Rossi è stato scelto per due motivi. Per il Daniele uomo, che una voglia immensa di lavorare qui al Genoa. Ha capito cosa significano questo stadio, questa squadra, questa tifoseria e questa città. Fino ad oggi lo avevo conosciuto più come giocatore che allenatore. Per il Daniele allenatore, che ha capito subito come migliorare la squadra e come incidere sulla mentalità dei giocatori. Sono stati i due aspetti più importanti nello sceglierlo. Benvenuto e in bocca al lupo”. “Ringrazio la società per la fiducia, Diego Lopez per la vicinanza e la quantità di volte che ci siamo parlati in questi giorni, parlando di calcio. Ringrazio Sucu e Blazquez per la fiducia e non vedo l’ora di iniziare”, ha esordito il tecnico.
Ci sono tanti incroci: cosa l’ha portata ad accettare questo incarico?
“La strada che mi ha portato fin qui è la via più metaforica: il destino. Tante volte si sono chiuse porte che pensavo fossero occasioni da non perdere assolutamente, nelle ultime settimane e mesi in particolare. A giugno ho avuto contatti con altre squadre. Più che una strada fisica e concreta, mi viene da pensare ad una strada metaforica. Penso di essere arrivato nel posto migliore rispetto a quelli dove sarei potuto andare. In passato ho avuto porte chiuse e poi è arrivato il viaggio incredibile della Roma. Tante altre volte ho avuto opportunità, chiacchiere e nulla se ne è fatto. Ora ho l’occasione di allenare una grande squadra. È un grande onore per me e lo dico sentendolo e pensandolo. Non dico bugie e non regalo niente, sono onorato ed emozionato. Questo ruolo va ricoperto con onore e rispetto per dove si è. Cosa mi ha convinto? Una delle cose è il direttore. Quando sei fuori, devi tenere a bada la voglia di tornare. Proprio dopo la SPAL, Galliani mi disse – e ci disse come corsisti di Coverciano – di non scegliere solo per la piazza, i giocatori, la città, ma anche in base ai dirigenti. Sono quelli che ti salvano. Qui ne abbiamo coi quali penso di potermi trovare molto bene. Blazquez e dal primo giorno che ho incontrato Diego Lopez. Ho subito sentito che si possa accendere una relazione basata sul rispetto dei ruoli. Parliamo, discutiamo: sono ruoli simili, ma qualche differenza c’è. Penso che questa esperienza possa durare tanto, trovandomi bene con città, piazza e tifoseria. Alla base ci deve essere un rapporto con società e squadra, altrimenti non fai punti”.
Quanto dovrà adattare le sue idee alla rosa a disposizione?
“Penso che tutti gli allenatori debbano adattare le loro idee al materiale umano e tecnico. Non si deve guardare solo come toccano i giocatori palla in campo o quali caratteristiche fisiche hanno. Bisogna guardare anche il DNA e questa società DNA ne ha da vedere. Gioca in uno stadio che si accende, dobbiamo farlo diventare una forza in più. Adatterò le mie idee al materiale tecnico, che è importante. Sono contento dei giocatori che ho. Ovviamente non sono contento del tempo che ho per preparare la prima partita, abbiamo fretta di fare punti”.
Che partita si aspetta?
“Se avessi potuto scegliere la squadra da non affrontare è la Fiorentina. Ha grandi valori tecnici, ha un allenatore bravo e campioni feriti che possono tirarti fuori la giocata. Ma siamo anche noi una squadra forte. Il Genoa che voglio vedere è un Genoa che ho visto tante volte giocando qui. Se mi preannunci che lo stadio sarà già pieno mi fai felice. I ragazzi mi hanno dimostrato grande voglia. Ho trovato una squadra in condizioni fisiche eccezionali, con ragazzi predisposti alla corsa e allo strappo. Di questo va dato merito a Vieira e al suo staff. Se questo lo aggiungiamo a tutto, sarà un Genoa che ci farà ben sperare per il futuro”.
Guardando le partite giocate, che idea si è fatto? Parlando anche coi giocatori, dei problemi che questa squadra ha, quali sono le cose su cui intervenire?
“Per me è complicato parlare perché sarebbe come valutare il lavoro del mio collega. Qualche problema c’è stato se sono qui, lo analizzavamo già da prima. L’errore più grande che potremmo fare sarebbe dare ai giocatori cento notizie, cento notifiche, cambiare tutto e cercare di risolvere tutto. Guardando le partite indietro, non c’è stata mai una squadra che abbia schiacciato il Genoa né fisicamente né tatticamente. In tante partite è andato in vantaggio. La gestione emotiva e mentale nelle aree più calde della partita potrebbe essere il primo approccio. Aggiungo anche i calci piazzati, che hanno penalizzato una squadra che non ha fatto male come diceva la classifica. I risultati erano brutti, ma la squadra non è stata dominata”.
É rimasto stupito dell’interesse e della gioia dei tifosi di Boca Juniors e Roma? Ed è vero che doveva andare a Buenos Aires?
“Questo è vero, per vedere il Superclasico e salutare tanti amici. Ma meglio così, sono più contento qui. Per quanto riguarda l’esplosione di amore dei miei vecchi tifosi di Roma e Boca Juniors, non mi sorprendo ma mi sorprendere sempre. Ora sono abbastanza concentrato a guadagnarmi l’affetto di una nuova tifoseria, che spero diventi importante per me. Roma e Boca sono state due grandi cose per me, ma non sono un freddo, sono uno che se le vive le sue partite. Non voglio passare da Genova, dal Genoa, da spettatore. Voglio andarmene magari tra qualche anno con una tifoseria in più che mi ama e mi accompagna, mi farebbe molto piacere”.
C’è un tabù da sfatare: la prima vittoria e il primo gol in casa?
“Tante volte ci sono coincidenze e casualità. Il Genoa ha avuto occasioni per fare gol al Ferraris, ma a volte le cose non vanno. Forse manca far gioire i tifosi del Genoa in casa e non solo in trasferta, come a Reggio Emilia. Non penso ci sia un tabù mentale, ma ci sono tante circostanze che hanno portato la squadra a non segnare in casa. Penso che ci siano ancora tante partite per invertire la rotta”.
Ha parlato del DNA del Genoa, ma qual è il suo di DNA?
“Ognuno fa l’allenatore a modo suo. Io trasmetto quello che per me è il calcio, che si tratti di Genoa, Roma, Ostiamare. Gli do un’importanza vitale. So che le cose drammatiche della vita sono altre, ma sono capace di avvicinarmi a questi ragazzi, che sono giovani, facendo loro capire che se si perde una partita, non è finito il mondo. Voglio però vedere gente che va oltre lo sforzo mentale o fare il proprio dovere. So che non è una tifoseria da 7mila persone o da scampagnata. Dobbiamo portarli dalla nostra parte. Non dobbiamo fare appelli di tifare, lo fanno da più di 100 anni. Dobbiamo fare diventare questo stadio nuovamente un inferno. Ci ho giocato in tutti i modi, sia quando c’era contestazione che quando c’era la bolgia che non riuscivi a parlare nemmeno con il compagno di reparto. So che il Ferraris è un valore aggiunto, so che può darci punti: faccio questo lavoro per le emozioni e per vivere queste atmosfere e sapere che la mia squadra può vivere questa atmosfera, mi fa piacere”.
Dovrà far capire ai giocatori il peso della maglia che indossano?
“Ci sono due strade parallele: l’importanza professionale ed emotiva della piazza. Rispetto le realtà che hanno grandi strutture e investimenti, ma che si trovano magari 10mila persone allo stadio. Magari un giorno ci lavorerà anche. Ma ora che lavoro qui vorrei fondermi con l’atmosfera del Ferraris. Vorrei che i giocatori lo facciano diventare un vantaggio e non uno stress. Sono convinto che diventerà un vantaggio da fare pesare sulla schiena degli avversari“.
Lei è un allenatore giovane, c’è un errore o un insegnamento del quale ha fatto tesoro?
“Avrei bisogno di più tempo per rispondere bene. Errori ne ho fatti, ma quando fa un errore l’allenatore di poca esperienza, si tira fuori proprio l’esperienza. Gli errori, però, li fanno anche allenatori più grandi. L’errore fa parte del nostro lavoro. Penso di essere una persona autocritica e ne abbiamo parlato anche con Diego Lopez e Blazquez. Anziché puntare il dito sul perché ci siano state problematiche da altre parti, ho analizzato cosa avrei potuto fare meglio. Fa parte della crescita nel mio mestiere e nella vita in generale. Quando cresci cerchi di modificarlo per capire quali sono i comportamenti che ti fanno far meglio. Per il futuro dovrei provarci più spesso”.
Con la Fiorentina mancherà Malinovskyi: come lo vorrai sostituire? In questo inizio tanti hanno fatto fatica, hai sentito voglia di rivalsa?
“Ho preso la squadra due giorni e i giocatori nuovi vanno solitamente a duemila, perché si riparte da zero e chi ha giocato meno, sa che può avere nuove possibilità e chi ha giocato sempre deve stare sul pezzo. Tutti vanno a duemila e hanno grande responsabilità. Le criticità vengono fuori dopo. Intanto ringrazio i giocatori: mi hanno accolto benissimo, non è scontato anche se è il loro lavoro. Ho apprezzato che abbiano accettato che io dovessi entrare nelle loro teste. Ho idee su chi giocherà, sicuramente non giocherà Malinovskyi. Qualcosa faremo. Anche lui quando tornerà dovrà meritarsi il suo posto. L’ho sempre stimato da avversario o da semplice spettatore. Era meglio averlo, ma sicuramente chi giocherà al suo posto farà una grande partita”.
Come vivrà il fatto di non stare subito in panchina? E poi il DNA di De Rossi è sempre sembrato affine con quello del Genoa…
“Il fatto che fossi stato espulso e che debba ripartire da qui, è una coincidenza che fa sorridere. Ero un tipo di giocatore che qualche rosso l’ha preso perché avevo questo spirito qui. Da allenatore non meritavo il rosso e lo pagherò caro perché non mi piacerà per niente stare in tribuna, non godermi lo spettacolo e non poter dare una mano da bordocampo, anche se dall’alto talvolta si vede meglio. È un handicap grosso per quelle che sono le mie emozioni. La vita è piena di coincidenze, il legame con il Boca e la similitudine di vivere il calcio come noi romanisti, perché un po’ romanista lo rimango. Ho deciso di fare questa professione sapendo di cambiare maglia. Per un attimo ho avuto la sensazione di rimanere a lungo a Roma, non è stato così ed è passato tanto tempo. Sapevo che avrei difeso altre maglie. Se avessi potuto scegliere tra le squadre in Italia, il Genoa era una di quelle tre o quattro che mi piacevano, non solo per la parte tecnica, ma perché io sono così. Dopo la Roma potevo fare mille scelte, sono voluto andare laggiù perché volevo vivere quelle emozioni folli. Mi sento nel posto giusto, sento che possa nascere un grande amore, ma nasce se vinciamo le partite. IO devo lavorare, non perdo lucidità. Sotto la Nord andranno i giocatori ad esultare, io dovrò rimanere lucido”.
Il fatto di affrontare una squadra che ha avuto una panchina ad interim in Conference League, ora avrà un altro allenatore. Come si prepara una partita del genere?
“Siamo sulla stessa barca. Noi faremo due allenamenti, loro solo uno. Speriamo di avere qualche energia fisica in più. Dal punto di vista mentale, la sconfitta ti accende tutte le antenne e tutti gli allarmi e staranno attentissimi a non perdere di nuovo. La partita si prepara come ho detto prima: cercheranno di prepararla tatticamente senza stravolgere tutto, cercando di attingere fonti di notizie e consigli importantissimi. Abbiamo uno staff vicino alla squadra, soprattutto con Murgita e Criscito, che è un amico, mi hanno dato tante notizie per le quali avrei avuto bisogno di maggiore tempo. Le abbiamo usate. Murgita rimane nel nostro staff, con tutte le cose che sa. Mimmo ha voluto continuare il suo percorso, anche se mi avrebbe fatto piacere fosse rimasto con noi. Giustamente ha preferito il suo percorso per fare carriera da allenatore. Sappiamo che non li conosceremo bene per i prossimi mesi”.
Un anno senza panchina, ma con la carriera da dirigente. Come è stato?
“Dal primo giorno il patto sarebbe stato che sarei stato meno presente fisicamente. Le persone che sono là a fare girare la squadra sono persone che ho scelto io. È stato importante perché ho iniziato a capire cosa passa nelle teste dei proprietari e dirigenti. Sono stato vicino alla squadra, ma so che le squadre hanno bisogno di un certo regime e controllo. Stare dietro la scrivania ti aiuta per capire come funziona il mondo dall’altra parte, una parte molto vicina. Mi è piaciuto girare con l’Ostiamare. Gli allenatori fermi vanno a vedere partire dall’altra parte del mondo o in Champions League, ma in Serie D ho visto allenatori molto preparati, a partire da David Antoni. Sono stato dirigente, ma non mi vergognavo a riprendere col telefonino i suoi allenamenti perché potevo sicuramente imparare qualcosa”.
So che lei è pane al pane, vino al vino. Le farò due domande: ha visto giocare il Genoa nelle prime nove giornate di campionato e poi a Sassuolo. Era solo un discorso tattico o di voglia di quelli che sono andati in campo?
“Abbiamo guardato tutte le partite del Genoa. È necessario sia per essere preparati per il colloquio e per il campo. Ho visto una squadra viva a Reggio Emilia. A volte è più viva dopo un cambio di allenatore perché si cambia e c’è uno scossone, che produce un risultato. Col Sassuolo ho visto una squadra che ha lottato, con tanti giocatori che hanno fatto una partita dispendiosa. Abbiamo fatto gol al novantesimo, col Parma abbiamo sbagliato un rigore all’ultimo minuto. A volte tra una vittoria e un pareggio, tra un pareggio e una non vittoria ci sono dei dettagli”.
Questa squadra può giocare col 4-2-3-1?
“Penso che possa giocare con qualsiasi modulo. La squadra è stata costruita così, quindi voglio sperare che possa giocare in quel modo. Penso che ci sbaglieremmo se non potesse giocare così. Col Sassuolo a me è piaciuta e mi è piaciuto lo spirito che la solidità in più che aveva la squadra. Penso ci siano margini per poter cambiare e continuare sulla stessa strada”.
Sulla prima avventura alla SPAL, non era adatta a giocare quel calcio in B?
“Tornando agli errori che ho fatto, era una squadra di ragazzi super, fantastici, con allenamenti al limite della lesione muscolare. Non avevano, però, la fisicità di questo Genoa. A me piace giocare a calcio e andare nello spazio. Qui ho materiale umano, dal punto di vista di struttura e muscoli. La famosa gamba che si nomina sempre”.
Qual è l’importanza di questa esperienza?
“C’erano tutti i presupposti. Sono andato dall’altra parte del mondo per cercare amore, quando c’è amore c’è anche odio. Sto maneggiando qualcosa di molto importante per tante persone, come accaduto a Roma, al Boca o alla Spal. Non cambia l’importanza, Spal e Roma erano le occasioni più importanti della vita all’epoca. Qui sono scelte diverse, forse più giuste e sane. Hanno scelto un allenatore, nel pacchetto c’è tutto: sia la poca esperienza, ma anche il fatto di potermi sposare con una piazza come questa“.
Sulla comunicazione che vuole impostare: “Per me è fondamentale, la crescita dell’allenatore in questo momento passa anche da questo. Penso sia la direzione da prendere. Il materiale umano va toccato non con delicatezza, ma con cura. Questo fa la differenza. Devi entrare dentro ai giocatori. Questo fa la differenza. Credo molto nella tattica e nell’importanza dell’allenatore, ma dipende sempre da quello che riesci a trasmettere. Farò quello che ho sempre fatto, ossia dire la verità. Ha sempre pagato nella mia vita. Anche con esigenza, perché ho bisogno di giocatori che mi diano il massimo. Nello spogliatoio posso dire cose che qui non posso dire. Ma dirò sempre la verità, ha sempre pagato nella mia vita e farò sempre così”.
Guardando le altre partite del Genoa, c’è stato un problema offensivo. Ha pensato a qualcosa per risolverlo?
“Penso che sarebbe sbagliato parlare di due giocatori per parlare di un problema offensivo. I gol si fanno e non si prendono se lavorano bene tutti. Nelle due aree si decidono campionati e salvezze. Anche un allenatore che non è bravissimo, se ha giocatori forti in area, fa tanti punti. Per arrivare in area serve una squadra organizzata. Non mi sentirete mai parlare di singoli. Non è così che vedo il calcio. Anzi, in passato ho sofferto vedere qualcuno che puntava il dito. Facessero un gol a partita saremmo tutti contenti, dobbiamo aiutarli. Torneremo a fare tanti gol, ma non perché si sono svegliati Colombo o Ekhator, ma perché saranno funzionate tute le cose”.
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