Josep Martinez, portiere del Genoa, ha rilasciato un’intervista ai canali ufficiali della società dove ha ripercorso le sue due prime stagioni in maglia rossoblù: “Io sto veramente bene, è il mio secondo anno qui. Penso che sia una città molto bella, con la gente molto appassionata al calcio e questo mi piace tanto. Cosa mi dicono quando mi incontrano? Che sono bravo e che sono simpatico. Quando vedo la gente io mi fermo con tutti, soprattutto con i bambini e i ragazzi. Non ho mai problemi a salutare la gente, questo lo vedono ed è per questo che me lo dicono“.

Tu eri qui anche lo scorso anno e hai vissuto la partita contro il Bari che ti ha cambiato la vita, anche perché eri anche malato: che ricordo hai di quel giorno?

Di quel giorno ho un ricordo un po’ strano, io venivo da una situazione un po’ difficile con la squadra. Avevo iniziato giocando, poi un infortunio alla spalla che mi ha fermato tre settimane. Questo è il calcio, quando hai tre settimane fuori abbiamo compagni con qualità. Ho dovuto aspettare il mio momento. Quando ho fatto quella parata al 90esimo minuto ho pensato soltanto che l’arbitro avrebbe fischiato e me ne sarei andato a casa a dormire perché non ce la facevo più (ride, ndr). Volevo che finisse la partite e andarmene a dormire, mi sentivo malissimo“.

Come ti trovi in Italia?

Io in tutte le interviste che faccio dico che l’Italia è il paese più simile alla Spagna. C’è il mare, un buon cibo, la qualità è più o meno uguale e anche la gente, sono latini. In Italia si vive molto bene e sto bene qua. Come ho imparato l’italiano? Parlando con la gente, qui ti fermano e ti parlano. Anche con i compagni. E’ una lingua non molto diversa dallo spagnolo, soprattutto del valenciano. Non è stato molto difficile, in quattro o cinque mesi lo parlavo e lo capivo. Dopo due mesi capivo già quasi tutto“.

Chi è il compagno più divertente e chi mi porterei con me in un’isola deserta?

Non mi porterei nessuno (ride, ndr). Sicuramente qualche spagnolo, Martin è un bravo ragazzo ma sono tutte brave persone. Il più divertente è Albert Gudmundsson, lui è molto simpatico. Non me lo porto in un’isola, ma è molto divertente“.

Come descriveresti il tifoso del Genoa?

L’aggettivo che userei è ‘passionale’. La gente vive con molta passione il calcio, per me questo è fondamentale. Cosa trovo in comune con la Spagna? E’ una bella domanda, credo il sentimento di appartenenza“.

Cosa vuol dire che i portieri sono matti?

Siamo diversi rispetto ad altri calciatori, siamo da soli, lavoriamo da soli. Abbiamo un carattere e una pressione diversa. Un errore del portiere si vede tantissimo, hai tanta responsabilità. Siamo più da soli e tutto quello che fai ha tante ripercussioni: se sbaglia il difensore hai il portiere dietro, se sbaglia il centrocampista hai il difensore. Se sbaglia il portiere, invece, è difficile“.

Hai una frase che ti motiva quando sei triste o qualcosa che ti viene in mente?

Un giorno ho visto un’intervista di un giocatore NBA che diceva che la sconfitta in un momento della vita non è un disastro, perché l’importante è lavorare di giorno in giorno. Gestire i momenti della sconfitta come uno step per arrivare al successo. È difficile, viviamo in una società dove sembra di dover vincere sempre per forza. Nel calcio, per esempio, sono venti squadre. È molto difficile vincere contro tutte le altre diciannove squadre. Bisogna dare un altro peso alle sconfitte, non sempre le cose vanno come vorremmo“.

Mi hanno detto che sai cantare…

Cantare? Ah, ho capito ho capito (ride, ndr). È stata una situazione nella festa per la promozione in Serie A, abbiamo fatto un evento con i tifosi. Eravamo tutti nel palco, stavano cantando ‘Guasto d’amore’ e mi hanno chiesto di cantarla. Ho detto di no perché sono timido, poi alla terza ho preso il microfono e ho cantato. Poi ho fatto un po’ di spettacolo“.

Che consiglio daresti allo Josep piccolo?

È la domanda delle domande. Sicuramente quello di non mollare mai, perché ci sono momenti difficili nella vita e nel calcio. Il percorso però è molto bello se sai tenere il sacrificio e l’umiltà. Quindi non mollare mai, non si arriva ad essere professionista senza soffrire. Quando la gente mi chiede un consiglio dico di non mollare, credere in sé stessi. Penso che è la cosa più importante nella vita“.


Genoa, l’intervista di Albert Gudmundsson al Telegraph