Nel ventennale della morte di Fabrizio Gorin i compagni del Genoa degli anni 80’, Onofri su tutti, lo hanno ricordato venerdì scorso con una Santa Messa nella Chiesa di Santa Zita. C’erano Nicolini, doriano doc, il figlio del Presidente Fossati, Gianni, ma anche tanti ragazzi che giocavano nei dilettanti con Fabrizio quando tornò a fine carriera a misurarsi con tutti  nei campetti a 7 di Corso Italia.

Nella giornata di oggi sul campo di Begato alla presenza dei suoi compagni genoani e granata è andata in scena un altro momento di ricordo: Sala, Zaccarelli, Martina, Onofri, Briaschi, Testoni, Boito e altri si sono ritrovati in una partita di calcio tra il Genoa e il Torino giovanile. Gorin quando arrivavano le distinte in Tribuna stampa era nominato Gorin II: il primo era suo fratello Duino, era infatti stato un’ala destra del Milan e del Monza.

Arrivò al Genoa intorno agli anni 80′ con Claudio Onofri e Claudio Sala, cuori granata che riportarono il Vecchio Balordo in Serie A nel campionato 1980/81 con i dribbling del poeta del gol, Claudio Sala, e anche le marcature arcigne di Fabrizio subito gratificato dalla Nord con un appellativo difficile da dimenticare, quello di “Picchia Gorin”. In quel Genoa vi erano anche le geometrie di Onofri, le sgroppate di “Ruspa” Testoni sulla sinistra, giovani in crescita come Nela, Boito e Russo. In panchina Gigi Simoni.

Per le donne con i boccoli biondi Gorin era un angelo, ma difficilmente lo era per gli avversari poco propensi ad incrociarlo con gli scarpini e i tacchetti di legno e ferro. Difficilmente avrebbe fatto male a qualcuno, ma il suo modo di essere in campo ombroso, tosto seppur leale, lo hanno reso un grande difensore. Incuteva timore dal primo minuto di gioco e quando la Nord tuonava “Picchia Gorin” gli avversari cercavano di girargli alla larga.

Fabrizio Gorin fu la bestia nera di molti attaccanti, un mastino in particolare alle calcagna di Alviero Chiorri , il fantasista doriano, che ultimamente lo ha ricordato così: “non ho mai segnato in un derby, mi marcava da dentro lo spogliatoio e oltre menare come un fabbro, limava i tacchetti che erano di legno ma martellati con quattro chiodi“.

Fabrizio Gorin, dopo la carriera da calciatore, sedette anche sulla panchina del Genoa dal 1997 al 2002 come vice di Onofri. Era la “cardioaspirina” del capitano che in campo quando giocava, copiato da altri centrali di difesa nell’anticipo e nell’impostare l’azione, in panchina soffriva l’emozione e l’adrenalina.

Fabrizio giocò quattro stagioni con il Grifone e ne diventò Capitano. Partito con rimpianto da parte di tutti destinazione Palermo, a fine carriera prese stabilmente la residenza sotto la Lanterna non solo perché da veneziano amava il mare, ma anche perché amava il carattere dei genovesi. Peccato che nel settembre del 2002 un male maledetto se lo sia portato via a soli 48 anni.

Anche da lassù “picchia” Gorin, cerca e prova ad insegnare ai giovani e pure ai vecchi del campionato di Serie A e B come si marcano gli avversari, nella zona e ad uomo.


Genoa, Zangrillo parla da Begato: “Fabrizio Gorin resta attuale nella memoria quotidiana”