Nel giorno della presentazione del libro “La Porta di un Calcio Pulito” scritto da Simone Braglia, al Museo di Via del Campo 29 rosso era presente anche un altro grande ex rossoblu come Mario Bortolazzi. Il centrocampista classe ’65, originario di Verona, ha un passato che racconta di 290 presenze in rossoblu dal 1990 al 1998, quando venne ceduto al West Bromwich Albion. Lo abbiamo intervistato nel cuore della città di Genova.

Cos’è cambiato in Serie A quest’anno?

“Poco o niente, per me. La cosa che più mi balza all’occhio è la riconferma dell’Inter, anche se ultimamente ha perso qualcosa. E del Milan, che continua a progredire. Il Napoli di Spalletti, poi, sta sorprendendo. Una squadra che mi piace per come gioca è la Fiorentina, la sorpresa assieme al Verona in questo campionato. Per quanto riguarda le zone basse, vediamo purtroppo inguaiato il Genoa come non era prevedibile a inizio stagione”. 

C’è qualche giocatore italiano pronto a giocare in quella che era la tua posizione?

“A livello di giocatori italiani, non ne vedo. Ho visto giocare Rovella, che non mi dispiace. Chi lo ha allenato prima mi dice che lui nasce come play e quindi, per la tecnica e la personalità che ha di volere sempre la palla, potrebbe esserlo davanti alla difesa. In Nazionale siamo “costretti” ad andare a prendere Jorginho. È un ruolo che in Italia non viene rappresentato bene”.

In questo gioco dove tutti giocano al fulmicotone, con tutti che giocano molto senza pallone, tu saresti stato il play ideale

“Sono doti naturali che vanno allenate e sollecitate in continuazione. Parliamo di un ruolo che negli anni successi agli anni Novanta è stato un po’ dimenticato perché si giocava coi due mediani davanti alla difesa e poco col play. Poi, col passare degli anni, si è tornati a questa filosofia e si è avuto un interprete massimo nel ruolo come Pirlo. Ma ancora si fa fatica, soprattutto in Italia, a trovare giocatori con queste caratteristiche. Se mi ricordo il mio gol da centrocampo a Reggio Emilia che segnò una svolta per andarci a salvare? Sapevo di avere questa caratteristica e non mi sottraevo alla responsabilità di provarci. Sono contento d avere regalato qualche gioia”. 

E sulla partita di Anfield Road? C’erano tanti fisiconi, ma tu non ti sei mai sottratto…

“Ognuno nel proprio ruolo fece quello che doveva fare. Chi doveva tamponare, chi rilanciare, chi crossare. Eravamo una squadra per questo, perché ognuno lavorava per l’altro, in sintonia. È stata la nostra forza”. 

Mi sembra strano che uno come te e uno come Donadoni non trovino spazio in questo campionato italiano…

“Più che io, Donadoni, che per me è sempre stato il “padrone”. Lui il primo, io suo collaboratore. È cambiato molto da questo punto di vista. La meritocrazia esiste poco ed esiste più avere la conoscenza giusta, il procuratore giusto, l’agente giusto. Spero che prima o dopo si ricordino ancora di noi”. 


Ex Genoa, Simone Braglia presenta il libro “La Porta di un Calcio Pulito”