Il quotidiano spagnolo El Pais (clicca qui) ha intervistato gli ex genoani Alberto Zapater e Chico Flores, che in maglia rossoblu hanno lavorato entrambi sotto la gestione Gasperini, prossimo avversario del Real Madrid (questa sera) nel ritorno degli Ottavi di Finale in Champions League. “Non avevo mai giocato così – ha raccontato Zapater, al Genoa nella stagione 2009/2010 prima di passare allo Sporting Lisbona, con Miguel Veloso a fare il percorso inverso – Si notava che avesse sotto controllo tutto quello che voleva, come lo voleva e che lo trasmetteva ai suoi giocatori. Avevi una serie di compiti da svolgere alla lettera. Altrimenti…lui era un tipo che si arrabbiava molto. Non c’era spazio per la discussione, quello che diceva andava fatto. La sua sola presenza imponeva rispetto. All’inizio non mi sono chiesto perché i veterani del Genoa non facessero determinate cose in campo, ma era chiaro che fosse per l’autorità del mister. Con il tempo ti rendi conto che quelle esperienze di ieri vorresti riviverle oggi”. 

Ancora Zapater, oggi capitano al Real Saragozza: “Quello che Gasperini sta facendo con l’Atalanta non mi sorprende. Nel difendere ci adattavamo all’avversario. Lui ti diceva di non oscillare, di non chiudere la linea di passaggio. Lui era il tuo centrocampista? Allora dovevi andare con lui. Tutto questo ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, ma ne ho un ricordo molto positivo. In attacco chiedeva di arrivarci attraverso passaggi dal basso, far correre gli avversari all’indietro e far sì che noi, se anche avessimo perso il pallone, fossimo già posizionati”. 

Così invece Chico, che vestì la maglia del Genoa nella stagione successiva, incrociando anche l’attuale allenatore rossoblu Davide Ballardini. “Se non seguivi le sue indicazioni, Gasperini si arrabbiava abbastanza – racconta il difensore, oggi svincolato – Immagino che gli piacesse mantenere le distanze, che nessuno stesse sopra di lui. Suppongo che qualcosa di simile possa essere successo con il Papu Gomez. Disse che mi aveva voluto perché sapevo portar bene il pallone, ero rapido ed energico, anche se poi mi mise spesso sulla fascia. Voleva che attaccassimo tutti e toccò farlo anche a me. Mi vedevo impegnato in scenari offensivi e questo per me è stata una novità in carriera. Alla lunga il suo modo di lavorare gli ha dato ragione: ha reso buoni giocatori che praticamente prima non avevano un nome”. 


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