Mattia Perin ha rilasciato una lunga intervista all’edizione nazionale di Repubblica (clicca qui), ripercorrendo i primi giorni di febbre e la sua positività al Covid-19. “Non sono l’untore del calcio italiano – puntualizza il portiere del Genoa – Era la settimana prima della partita contro il Napoli. Il 21 settembre mi recai a Torino per rivedere mia moglie e i bambini, era un lunedì: al contrario di quanto è stato detto, non esiste alcuna evidenza che io abbia contratto il Coronavirus proprio quel giorno. Il mercoledì seguente ci sottoponemmo ai tamponi, come sempre. Il risultato arrivò il giovedì mattina: tutto okay. Ma la sera avevo la febbre”.

Continua Perin: “Questa è una malattia subdola, la puoi prendere in taxi, oppure schiacciando il bottone di un ascensore. Nella mia famiglia sono tutti negativi. La verità è che in una dozzina di ore cambia il quadro clinico, neppure gli specialisti sanno molto del Covid-19. E sia chiaro che il caos di Juventus-Napoli non è iniziato per colpa del Genoa. Poteva accadere a chiunque. Di sicuro, se ci fossimo chiamati Real Madrid, Inter o Juventus, saremmo stati rispettati di più. Sia chiaro che la malattia non è mai una colpa, ma un’eventualità che accade agli esseri umani. Noi calciatori siamo molto scrupolosi. Nessuno toglie la mascherina, rispettiamo regole e distanziamenti, poi è chiaro che in campo veniamo a contatto, è inevitabile. Ma basta con i cliché del calciatore ricco, viziato, privilegiato e menefreghista. Ho letto giudizi molto superficiali”.


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