C’è difficoltà a scrivere di Genoa, almeno che non si vogliano dei copia-incolla delle ultime due gare delle ultime due stagioni.

Pezzo scritto dopo la sconfitta del Lecce a Bologna perché le lezioni al Genoa, in futuro, dovranno contare qualcosa. Guai non metterle a frutto il prossimo anno e dopo lamentarsi, se arriverà ancora il peggio, che non è più ammissibile dopo quello successo negli ultimi due campionati, senza e con Covid.

Nel 2017/2018 il Grifone perse le ultime quattro partite, ma Ballardini aveva già fatto il miracolo in precedenza salvandolo con cinque giornate di anticipo. Lo scorso anno alla penultima gara si giocò Genoa-Cagliari: bastavano i tre punti invece del pareggio, nulla di miracoloso, per non soffrire l’ultima notte al Franchi di Firenze e giocare a “chi fa meno” tra viola e rossoblu, aspettando i guai dell’Empoli sconfitto sul filo di lana immeritatamente dall’Inter.

Alla fine di Fiorentina-Genoa dello scorso maggio, dopo aver ingurgitato coramine, arrivò un commento unanime da parte di Preziosi, dirigenti e giocatori: “mai più un anno così”. Un commento rimasto solo nell’etere di radio e televisioni.

Invece ecco di nuovo le genti, e gli stessi dirigenti genoani, dire che la Serie B sarebbe un disastro, sulla griglia della depressione calcistica passando la domenica ad aspettare il risultato di Bologna-Lecce, grazie a Dio positivo.

Invece altre urla nel silenzio. Un altro thriller invaserà il Genoa e il suo popolo in altri 180’ di gioco non sperando nei risultati negativi altrui e, per quello patito, nello “scansiamoci” di presunti amici.

Le radici del male del Vecchio Balordo arrivano da lontano e non si è capito perché il Joker Preziosi, conoscitore di calcio, non sia riuscito a debellare questo killer che ha nomi e cognomi di consulenti di calciomercato e presunti amici (meglio ribadirlo per non confonderli con quelli che lavorano dietro le scrivanie amministrative in società) che lo consigliano durante le campagne acquisti estive e invernali.

Il Vecchio Balordo in questa stagione ha perso 11 gare casalinghe, vincendone solo 6 e pareggiandone una, paradossalmente sono migliori i risultati in trasferta con 3 gare vinte, 8 pareggi e 7 sconfitte.

L’unica cosa buona in questo post-Covid sono state le porte chiuse del Tempio, ma per il fatto che hanno evitato la ripetizione nel rivedere un altro scempio non solo calcistico, ma anche pieno di contumelie per chi ha costruito la squadra (nessuno escluso) in estate  e a gennaio senza dare colpe agli allenatori, non avendo ingaggiato qualcuno, anche datato, che la buttasse dentro.

Scritto questo, non anticipato alla domenica mattina del post gara del sabato per ragionare nella positività, anche quest’anno la salvezza sarà raggiunta sul filo di lana e dovrà essere raggiunta non solo dal tecnico, che ha fatto molto, ma da tutti i giocatori della rosa giocando le prossime due gare come è stato interpretato, non solo sul piano tecnico e tattico, l’ultimo derby: con cazzimma e voglia di vincere.

Adesso silenzio: proclami via social e promesse future non occorrono. Saper parlare è bene: saper tacere è meglio. Non serve neppure dire “i conti si faranno alla fine” per far continuare a volare ancora il Grifone prossimamente. In Serie A i conti bisogna farli in questa settimana.

Su Genoa-Inter poco da dire: vista dall’alto della Tribuna Stampa e non sugli schermi televisivi non è dispiaciuta avendo ancora nella mente e negli occhi altre gare post-Covid.

Non frequentando il Pio Signorini non si è capito se la formazione iniziale era frutto di una strategia per avere la squadra al massimo contro il Sassuolo oppure se, tra quelli in panchina per fare numero, quelli in Tribuna (non solo per infortuni) e quelli che hanno finito la stagione, sia una questione di apnea senza bombole.

Non era la partita da vincere, ma con un centravanti che vedesse e odorasse la porta, poteva anche succedere. I centravanti del Vecchio Balordo, due per giovinezza (Pinamonti e Favilli) e uno per usura (Destro), difficilmente fanno l’atto di svincolarsi dal diretto avversario. Dicasi smarcamento in “zona luce”, spazio di terreno in cui il portatore di pallone può vedere il compagno smarcato. Tutti e tre fanno solo a spallate con i difensori favoriti sui lanci lunghi di Perin e della difesa. Lanci che servono poco a fare gol anche perché se ci sono spizzicate non c’è nessuno pronto a raccoglierle.

In avanti le due punte rossoblu hanno fatto fatica a capire se la squadra era in grado di alzarsi tenendo il pallone o passandolo indietro al compagno o tentando il contropiede sul pallone lanciato lungo. Peccato che un Nicola alla ricerca del gol non sappia sottrarsi alle lusinghe sempre sconsigliabili, ma umanamente comprensibili, della fama. Nella mischia in attacco sarebbe stato meglio scommettere per alcuni momenti finali sulla carta Bianchi, il centravanti della Primavera. Ma anche isun questo Nicola ha poche colpe, non avendo avuto il tempo di seguirlo prima dell’infortunio autunnale.

È piaciuto il Genoa nei primi trenta minuti contro il Biscione perché contava il modo di stare in campo e la capacità dei calciatori di adattarsi agli avversari e alle situazioni che si presentavano. Chi si aspettava un treno, un autobus davanti alla porta di Perin sarà rimasto deluso. La strategia tattica di attaccare l’Inter con il primo pressing alto  ha funzionato  in modo semplice ed è stata applicata al meglio lavorando per piccoli gruppi o catene o coppie.

Dopo il gol di Lukaku, che tutti i moviolisti da casa hanno battezzato regolare, senza valutare la forza della trattenuta di Lukaku non contro un mingherlino caduto a terra come una pera matura, la trattenuta potevano valutarla soltanto l’arbitro, non in posizione favorevole, e soprattutto il primo assistente internazionale Preti che i giocatori li aveva ad una trentina di metri. Il Var non è intervenuto perché il protocollo non glielo permette visto che non era un “un chiaro ed evidente errore” da valutare tramite immagini TV.

Su Massa di Imperia tante le polemiche, dimenticandosi che aveva già arbitrato altre 4 gare del Grifone e nessuno si era lamentato a posteriori. In Genoa-Inter però non è piaciuto per la gestione dei falli in modo difforme rispetto  ad altre partite dirette.

L’errore più evidente è stato del VAR, l’internazionale Irrati, che non gli ha segnalato il fallo di Gagliardini sulla linea dell’area di rigore interista (al minuto 26’ primo tempo) che non può essere considerato involontario considerato che in altre due partite della stessa giornata, per lo stesso fallo, sono stati assegnati calci di rigore.

Pur essendo internazionale, per Massa gli esami non finiscono mai: è come se ci fosse qualche professore che lo vuole bocciare. Oltretutto 6/7 gare al Ferraris con le genovesi non ci sono nel curriculum di nessun arbitro con squadre della propria regione.

Tornando a Genoa-Inter, dopo il gol di Lukaku c’è stata anche la reazione del Genoa con un compito più che difficile: controllare il contropiede nerazzurro, l’unica arma che si è vista nella squadra allenata da Conte  considerato che l’attuale Biscione non può considerarsi una squadra del salentino avendo un play e un trequartista lenti nell’innestare le ripartenze.

Bene Rovella: la personalità vista nel campionato Primavera si è rivista al Ferraris. Visti i cambi campo latitanti in altre gare. Peccato che qualche compagno lo abbia  considerato come Calimero, un “pulcino nero”, non fidandosi a passargli il pallone. Rovella è un play, non una mezzala, ma giocherebbe anche in porta. Bene la grinta e la decisione di Romero. Bene le marcature ad uomo sui calci d’angolo che non hanno permesso alla fisicità interista di avvantaggiarsi.

Dubbi sul mancato utilizzo di Ghiglione: da uomo cross nelle classifiche del ruolo nella  prima parte di stagione, è stato tenuto in panchina. Criscito il capitano in difficoltà per problemi fisici: a terra due volte nei primi venti minuti di gara o fine benzina da derby?

Adesso anche contro il Sassuolo partita non facile. Senza tenere conto dei 4/5 punti di vantaggio sul Lecce  occorre una scarica di adrenalina per tutto il popolo genoano pronto a godersi l’ultima giornata di campionato senza soffrire, in ansia fra le onde del mare o sui sentieri di montagna, davanti ai televisori o con la radiolina attaccata agli auricolari non avendo la possibilità di accedere al Ferraris.