Il titolo del pezzo di presentazione della gara era “Non porti un bacione a Firenze” storpiando quello originale della canzone di Spataro degli anni passati. Oggi invece “La porti un bacione a Firenze” è quello giusto e ci sta per quello che hanno sofferto i 3000 tifosi rossoblu asserragliati nella Curva, che davano l’impressione di essere quasi più dei 35mila fiorentini larghi in tutti i settori del Franchi.

Serata e nottata di passione per tutti i Genoani, non solo a Firenze. Serata da coramina con un occhio alla partita del Grifone e non solo a quella di San Siro visti i risultati snocciolati nel primo tempo. Dispiacciono alcuni titoli odierni dei quotidiani del centro Italia, improvvisamente vergini dopo quello accaduto le giornate precedenti.

Serata da pazzi anche in Tribuna stampa lato Genoa: tutti assieme appassionatamente, non solo i soliti giornalisti, ma anche quelli dell’unica gara in trasferta e tutto l’ufficio stampa del Vecchio Balordo. Telefoni, IPad, smartphone e Tv di servizio del Franchi protagonisti per tutti i novanta minuti. Tanti sfottò alla fine per i funerali anticipati nel pomeriggio, una cerimonia dove gli invitati dopo alcune ore sono finiti come sempre per intenerirsi di se stessi.

Sulla partita c’è poco da dire: è stata quasi virtuale, nessuna parata importante di entrambi i portieri. Gara vissuta solo nell’attesa di quello che succedeva in Inter-Empoli, dove sarebbe avvenuto di tutto. Le emozioni erano più tante, non per colpa del Vecchio Balordo, apparso più autoritario e meno pauroso della viola quando provava a mettere la quarta marcia in avanti, mai la sesta, dimenticandosi della marcia indietro del pallone.

Solo una nota di merito all’arbitro Orsato: partita facile ma lui è stato bravo a non farla diventare nervosa nei momenti topici di paura. Da oggi bisogna aprire un nuovo capitolo della storia del Genoa. Una partita come quella di ieri sera non può più essere rivissuta in tutto quello che gira nel pianeta rossoblu a quarti.

Dopo più di mezzo secolo che vedo gare del Vecchio Balordo si può paragonare a quella che si giocò a Bergamo negli anni di Fossati che per 20’ alla fine della partita tutto il popolo genoano rimase seduto e in silenzio sui gradoni dello stadio “Atleti Azzurri d’Italia” aspettando il risultato finale della Lazio, con tanto di rigore finale a favore dei capitolini.

Dopo tredici anni di Serie A,  ieri sera il Genoa ha toccato il gradino più basso di questa storia, però non il fondo viste le facce della dirigenza al completo e non le parole in conferenza stampa ed anche degli addetti ai lavori eccetto quella di Prandelli rimata nello  spogliatoio con la famiglia. Il Trono di Spade ha tenuto incollati tutti davanti alla televisione per il suo epilogo: lo stesso è successo per il Vecchio Balordo con le viscere in subbuglio.

Difficile affermare se la gara del Genoa a Firenze sia stato un episodio finale dell’era Preziosi. Che sia un’era che abbia bisogno di una svolta questo sì, lo si può affermare. L’autofinanziamento tramite le plusvalenze e la vendita dei migliori non ha avuto successo ai fini dei risultati sportivi perché troppi sono stati gli euro buttati via, a seguire, senza un progetto tecnico di utilità, ma solo un bancomat per procuratori che se avessero fatto dei contratti a risultati per i loro assistiti sarebbero in bancarotta.

Nei giorni che hanno preceduto la gara del Franchi supposizioni se ne sono fatte a tutti i livelli. I social sono impazziti a fare toto-Genoa del futuro non in campo. Non sappiamo cosa succederà nelle prossime ore dopo che tutti si saranno goduti un altro anno in A. Vendita della società, rimpasto a tutti i livelli, rilancio in silenzio con più fiducia di chi lavora vicino al Joker e senza promesse.

Certezze ad oggi poche, solo ipotesi che riempiranno l’estate genoana. Da domani a Villa Rostan non conteranno gli exit poll elettorali, ma conterà mettere in modo primario e importante chiarezza nelle stanze  della Marchesa di Pegli e non per colpa dei fantasmi. Già scritto la scorsa settimana riferendosi a tutte le squadre del campionato italiano.

Il campionato di calcio 2018/2019 conferma, per chi non l’ha capito, che le squadre di calcio per funzionare devono suonare come orchestre dai proprietari alla dirigenza, dagli addetti ai lavori fuori dal campo sino a quelli dietro alla scrivania, dagli allenatori ai giocatori. Raramente un’orchestra suona senza direttori, perciò diventano band di paese, dove ognuno suona quello che vuole nel suo orto con la conseguenza che il suono peggiora giorno dopo giorno.

Lo spavento questa volta al Pio Signorini tra la dirigenza è stato tanto. Nessuno volveva  retrocedere e non solo per la caduta nel purgatorio della B, ma anche perché erano troppi gli interessi economici da  far collimare sul piano dei conti e del bilancio futuro. Il 14esimo anno in serie A dovrà partire con chiarezza. Anche se Preziosi non stufo ma stanco  del mondo Genoa continuerà a ribadire  di non essere disposto a cedere il Genoa a qualunque prezzo e chi a chiunque si presenta.

Senza tentennamenti gli obiettivi primari, meglio ripetere senza promesse, dare o non dare fiducia al gruppo dirigente sportivo ma dopo anche seguirlo, scegliere l’allenatore o confermare Prandelli senza aspettare la fine di giugno e senza mal di pancia futuri. Prandelli avrà conosciuto il mondo Genoa di Pegli, ma gli altri avranno conosciuto il mondo Prandelli.

Domenica 26 maggio deve essere stato un crinale, uno spartiacque della storia del Genoa perché un finale come domenica sera non potrà finire a “tarallucci e vino” in tutto il pianeta che gira intorno al Vecchio Balordo dentro e fuori dal Pio Signorini

Gli ultimi anni, stagione dopo stagione, hanno troppo elevato il rischio di cadere. Non in Serie B, perché quella sarebbe stata una questione secondaria, perché Serie A o serie B “u Griffun l’è sempre qui” sarebbe stata la canzone che la Nord avrebbe continuato a cantare.

Altro esodo del Popolo genoano per altra serata da cani dove contava solo continuare a soffiare del Genoa in A in un clima da stadio non dei migliori. Una filastrocca che cantavano al Lagaccio quando ero bambino: “siamo qui, siamo noi, siamo tre” non è stata cantata perché la nuova generazione non la conosce, ma è stata confermata dal calore e dalla gioia a fine gara in tutto il tragitto da Firenze in Liguria. Ora la speranza è che non sia un’altra estate calda ma solo un mese di giugno per dopo ripartire.

L’invito a tutti i Genoani che potranno sabato pomeriggio prossimo, l’1 giugno, è quello di riempire il “Gambino di Arenzano”: c’è da salvare il Genoa Primavera dalla retrocessione e dall’attacco dell’Empoli con il dente avvelenato. Due gare per continuare a giocare nella serie A della gioventù.