Non fare risultato con questo Cagliari sarebbe stato un “porceddu” amaro da digerire. Il Genoa, eccetto il terzo gol da “Gialappa’s” per errore di Caprile, il portiere che nelle scorse gare li aveva sempre salvati da sconfitte anche meritate, probabilmente ingannato dal nuovo pallone invernale di colore rosso, le altre due reti le ha fatte in modo perfetto, con combinazioni tra Colombo e Vitinha, entrambi due seconde punte che si sono integrate benissimo con il movimento, e la carica di Østigard: tre gol all’attivo per festeggiare la sua Norvegia ai Mondiali 2026.
Il Cagliari invece ha sfruttato gli errori in fase di non possesso. Il primo pareggio sardo è arrivato con un altro gol segnato dall’orologio del direttore di gara, con Leali con i piedi sulla linea di porta senza intervenire dentro l’area piccola in uscita; il secondo pareggio è arrivato subito dopo essere passati in vantaggio, per scalature e diagonali sbagliate, dopo che per la prima e unica volta Ostigard è stato preceduto da un colpo di testa; il terzo gol è la fotocopia di altri sul secondo palo, fregati da un cross che arrivava dalla trequarti, con Marcandalli in ritardo e Leali sempre sulla riga di porta.
Colombo ha ciccato un altro gol da quasi dentro l’area di porta per il vizio di stoppare il pallone con il destro per tirare di sinistro. Però, rispetto ad altre gare, ha tirato di più in porta, ha fatto l’assist a Vitinha e ha segnato un gol al volo di sinistro da fuori area da cineteca. Peccato per il presunto fuorigioco di Ekuban, autore del probabile assist.
Per Vitinha, finalmente il primo gol in campionato: gli piace il gioco in velocità come a Colombo, con una buona predisposizione a coprire il pallone per far salire la squadra.
Se il gioco degli attaccanti è una bella novità, la conferma dei due esterni è una garanzia. Peccato che DDR non abbia sostituito Norton, probabilmente in apnea, nel finale, dopo le fatiche con l’Under 21 inglese, in campo per 100’ mercoledì scorso.
Difesa da rivedere, con Vazquez ancora con il fuso orario arrivato venerdì più nella testa che nelle gambe; come il centrocampo, con Malinovskyi marcato a uomo da Deiola o da Prati, non è riuscito a fare il gioco richiesto da De Rossi, anche lui reduce dalla qualificazione dell’Ucraina ai Mondiali americani. Thorsby, finché ne ha avuto, è stato un pendolo nelle due fasi di gioco; Frendrup ha carburato solo nel secondo tempo. Grønbæk e Valentin Carboni sono subentrati in un momento non facile di confusione, anche se De Rossi, per migliorarla, ha optato per giocare con il 4-4-2.
De Rossi è contento, giustamente, perché ha visto quello che voleva già giovedì scorso in conferenza stampa: un Genoa, un Grifone ragionato, pilotato, che non ha mai subìto, costringendo gli avversari al proprio modo di essere e di stare in campo. Visti in campo i principi del 3-5-2, non del 5-3-2 anche se si giocava in trasferta, hanno messo in mostra 5/6 occasioni da gol.
Peccato che le solite “marachelle”, in fotocopia con le altre undici gare giocate in precedenza, non abbiano permesso al Vecchio Balordo di portare sotto la Lanterna tre punti più che meritati.
De Rossi probabilmente, in questo momento, sta rinunciando alle aperture alla modernità del calcio che gli piace: sceglie la formazione migliore, la più adatta per fare punti, e contro i sardi l’ha scelta pensando agli avversari, volendo dominarli; e senza gli errori ci sarebbe riuscito. Vuole vincere delle gare per poi studiare prossimamente qualcosa di diverso con la panchina a disposizione.
Per colpa delle leggi assurde che stanno sconfiggendo il calcio, che hanno impedito ai tifosi genoani di raggiungere l’isola sarda, con sacrificio di tempo e di euro, il Vecchio Balordo alla Domus Arena di Cagliari non ha camminato da solo. Un centinaio di tifosi arrivati dalla Sardegna, da Carloforte, dall’Emilia Romagna, da Roma, dall’Inghilterra, potevano cantare senza stonare: “You Never Walk Alone”.








