Si è chiuso il circo di Infantino e della FIFA. Il Mondiale per Club è finito in un “Mondialino”.
Solo la finale tra Chelsea e PSG avrà fatto riaccendere i televisori in tutto il mondo a chi non si era neppure accorto dell’inizio del torneo, partito il 14 giugno e conclusosi domenica scorsa, dopo un flop clamoroso tra sponsor assenti e biglietti passati da 350 a 11 dollari, nel disperato tentativo di riempire gli stadi — senza riuscirci.
Chi comanda il calcio dovrebbe stare attento alla frenesia di trasformarlo in un giocattolo, una PlayStation, per di più in un’estate calcistica che, in passato, non faceva rimpiangere tornei e partite capaci di stuzzicare i tifosi e farli seguire con interesse le nuove campagne acquisti e cessioni.
Le squadre hanno partecipato a questo baraccone e i giocatori lo hanno accettato, non perché fosse qualcosa di diverso o appassionante, ma per dovere. La FIFA ha invogliato i grandi club di tutto il mondo a partecipare a questa “Samarcanda” di gare con una formula semplice: “più ne giochi, più guadagni”.
Ma il tentativo della FIFA di fare le scarpe all’altra grande manifestazione, la Champions League allargata della UEFA — altro baraccone costruito sulla pelle dei calciatori — è fallito. L’organismo mondiale non è riuscito a trasformare il Mondiale per Club in un evento davvero planetario. Sarà difficile da ripetere.
Nel corso della prossima stagione 2025/26, ci saranno altri responsi che faranno pentire club e calciatori di aver partecipato. Soprattutto questi ultimi, che non sono robot e non funzionano ancora tramite intelligenza artificiale.
Il business, l’obiettivo di riempire le casse dei club, ha fatto gola a tutti — proprio come i portafogli dei giocatori. Esempio: il Chelsea, vincitore del Mondiale per Club, dovrebbe incassare circa 130 milioni di dollari. La società ha stanziato il 30-35% di tale cifra da dividere tra i componenti della rosa che hanno partecipato.
Il torneo doveva attirare le televisioni, ma solo DAZN ha accettato di trasmetterlo. Una settimana prima dell’inizio, infatti, una quota minoritaria della piattaforma (per un miliardo di dollari) è stata acquistata dal fondo sovrano saudita: praticamente lo stesso prezzo pagato per i diritti televisivi del Mondiale disputato in America.
Senza sponsor, Infantino si è rivolto a Donald Trump per ottenere altri favori economici, puntando sui petrodollari arabi. In cambio ha ottenuto la garanzia di disputare nuovamente il torneo nel deserto, non solo per le Nazionali nel 2034, ma anche per i club tra quattro anni — ancora una volta in inverno, sospendendo i campionati nazionali ed europei.
Trump, già “premiato” con l’assegnazione del Mondiale 2026 (che si giocherà in condizioni simili), ha concesso a Infantino anche i nuovi uffici FIFA all’interno di uno dei suoi grattacieli.
Il Mondiale per Club di Infantino è stato un capolavoro di finzione: influencer pagati a peso d’oro, tifosi presi dalle strade e portati negli stadi gratuitamente, a una sola condizione — niente maglie o bandiere di squadre partecipanti, solo abiti civili, per simulare un pubblico pagante.
Gli arbitri convocati erano 35, provenienti da ogni parte del mondo, tranne che dall’Italia. Solo Di Bello ha partecipato al VAR, insieme ad altri 23 ufficiali, davanti agli schermi.
La POV (Point of View), ovvero la nuova “modalità TikTok del calcio”, con una telecamera posta sulla testa del direttore di gara, ha suscitato interesse soltanto in Collina, presidente degli arbitri FIFA. L’unica vera novità è stata la possibilità di trasmettere in diretta ciò che l’arbitro stava valutando al VAR.
A Collina (FIFA) e a Rosetti (UEFA) sarebbe interessante chiedere perché nelle gare di Champions, Europa League, Conference League e Mondiale per Club non abbiano preso parte arbitri italiani.
Una situazione che dovrebbe preoccupare in vista del campionato italiano 2025/26?Verosimilmente sì. Ne scriveremo ancora, aspettando non solo la Circolare numero uno (quella che illustra le novità regolamentari), ma anche una riflessione sul “pastrocchio” della riduzione degli arbitri in organico alla CAN (Commissione Arbitri Nazionale), quelli che dirigono in Serie A e B. Un provvedimento poco compreso, anche nelle sezioni arbitrali locali, vista l’esclusione di alcuni direttori di gara e la salvezza — in condizioni simili — di altri.








