Francelino Matuzalem ha lanciato un lungo messaggio via Instagram, direttamente dal Brasile, al paese che lo ha accolto per 20 anni di calcio senza esclusione di colpi. “Per me come una seconda casa” ricorda l’ex centrocampista del Genoa, che di Genoa ha parlato a lungo ma non prima di aver mandato un messaggio a tutti gli italiani: “Non vedo l’ora che finisca questa situazione, io in Italia ho figli e voglio riabbracciarli. Ora mi sto godendo mamma e fratelli, cosa che non ho mai fatto tanto in passato visto che ho lasciato il Brasile da ragazzino e sono stato in giro per vent’anni. Agli italiani che stanno soffrendo dico: spero che questa situazione passi presto”.

Matuzalem fu costretto a restare ai box dal settembre 2007 fino al marzo 2008

Il percorso tra i professionisti Matuzalem, cresciuto sui campi polverosi di Bahia, è stato precoce: “Tutto molto veloce, dopo neanche un anno giocavo già nella prima squadra del Napoli”. Francelino, che l’Italia l’ha girata in lungo e in largo, sul braccio ha tatuata una maglia del Genoa: “È una fra le maglie che mi ha dato di più ed è anche l’unico tatuaggio che ho legato al calcio. Negli anni ho visto tanti argentini tatuarsi Maradona e brasiliani tatuarsi Ronaldo: io ho pensato di farne uno con la mia faccia e una maglia che mi ha portato piacere”. Frenato per oltre 6 mesi da un durissimo contrasto di Yaya Touré nella sua stagione spagnola al Real Zaragoza, in Serie A ha fatto parlare di sé anche per gli altrettanto dolorosi interventi su Brocchi e Kristicic, entrambi quando vestiva la maglia del Genoa. Con il secondo è diventato anche amico. “Non mi sono scusato. Certo, sono andato a chiedere informazioni su di loro, ma nel calcio no si chiede mai scusa: si prende e si dà. Brocchi mi ha spiegato bene la situazione, veniva da un lungo infortunio. Dal video si vede che è un’entrata brutta, ma mi ha spiegato che gli si è incastrato il piede nell’erba: con lui non ho mai avuto problemi. Con Kristicic invece ho avuto la fortuna che sia venuto a Bologna: insieme abbiamo vinto il campionato in B e oggi abbiamo un grandissimo rapporto. Non abbiamo mai parlato della situazione, perché quando giochi nello stesso ruolo lo sai come funziona. Io ho fatto una scivolata per spostare il pallone ma ho preso la caviglia. Il calcio è un gioco di contatto”.

Un capitolo sull’esperienza a Genova:“Del Genoa porterò nel cuore i tifosi, che mi vogliono bene: abbiamo trascorso due anni indimenticabili. Non mi importa ciò che dice la gente: qualcuno ti ama e qualcuno ti odia. Io sono sempre andato per la mia strada, non sono mai cambiato per il giudizio della gente. In certi periodi non leggevo neanche le pagelle, anche perché magari giocatori amici dei giornalisti prendevano più di altri. A me gli altri non sono mai interessati. Io mi davo il giudizio da solo. Fumavo nel bagno degli spogliatoi, ma è una cultura normale nel calcio. Nel Genoa tanti giocatori fumavano e facevamo gruppo parlando di avversari. Ma quasi tutti i giocatori fumano. Non sono fumatori da una stecca al giorno ma i giocatori prima di giocare a volte prendono un caffè o fumano. Alla fine anche noi siamo uguali a tutti gli altri: magari non possiamo farlo al bar perché la gente giudica, ma è una cosa normale. Io ho sempre fumato, già dall’età di 15 anni. Fumavo poco e il medico sesso diceva che qualche sigaretta non fa male: una dopo pranzo o dopo cena, come un bicchiere di vino. Il problema è se fumi una stecca o bevi una bottiglia. Altrimenti cosa racconti?”. 


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