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Il calcio secondo Prandelli: seconda parte – VIDEO

Alle ore 18 la terza e ultima parte della nostra intervista a Cesare Prandelli 

Durante una conferenza stampa prima della Confederations Cup, quando l’Italia doveva andare a giocare contro una nazionale più forte, lei disse che “le partite le vinci, o meglio ancora impari a vincerle, solo se chi hai davanti ti è superiore”

Bisogna precisare. Io ho ereditato un calendario di amichevoli a livello internazionale perché la Nazionale in quel momento era al top e le partite erano già state programmate, ma sono convinto di quel che ho detto: se tu giochi contro una squadra forte, ma veramente forte, secondo me puoi migliorare e capire quali siano tuoi limiti o le tue qualità. Abbiamo giocato contro Francia, Brasile, Inghilterra, Germania, Spagna e forse per ragazzi giovani possono essere stati un confronto importante.

Le sostituzioni sono programmate in anticipo o è solo l’attimo fuggente? 

Pochissime. Se hai qualche giocatore con qualche problema, che sai non potrà durare per 90’, allora si. Altrimenti devi saper leggere la partita e saper fare i cambi: molto spesso i cambi non sono bocciature per chi esce, sono cambi per cercare di migliorare o eventualmente compattare la squadra.

Sui difetti degli avversari invece si possono fare?

Assolutamente sì. Se durante la partita vedi un movimento ripetuto e ti manca un giocatore in quella zona, proprio per questo motivo puoi pensare di cambiare.

Sei sempre un gestore di tattica e tecnica. Se ci fosse un po’ più di qualità la utilizzerebbe in altro modo?

Se la qualità è intesa come capacità di tecnica, lettura e velocizzazione delle azioni. Quando mi parli di qualità ho sempre negli occhi il primo controllo. Quando è fatto bene puoi aver il tempo di sviluppare al meglio il gioco; molto spesso negli ultimi anni abbiamo perso questa capacità e questa qualità.

Sacchi asseriva ed asserisce tutt’ora che siano più importanti gli schemi. Ferrari il contrario: “Tu dai Rijkaard, Gullit e Van Basten a qualsiasi allenatore: vedrai che vince anche lui”

Così è un po’ riduttivo. Diciamo che se hai giocatori di qualità su una base di uno sviluppo di gioco è sempre meglio, ma senza un’idea che li accomuna non so se puoi vincere sempre. Non amo parlare di schemi: gli schemi sono quelli su palla inattiva, quando deve essere preciso tutto. 

Chi è l’allenatore migliore? Quello che fa rendere al massimo ciò che ha in rosa o chi sa adattare meglio al proprio credo calcistico chi ha a disposizione

Quello che riesce a valorizzare i giocatori a disposizione. 

Molti allenatori hanno dogmi precisi, non è mai stato il suo caso 

Sono sempre stato contro i dogmi molto rigidi, non mi appartengono. Poi se uno decide di giocare con un sistema di gioco chiaro, preciso, con 8 o 9 interpreti che lo fanno bene e solo uno che fa un po’ di fatica, allora lo puoi sopportare benissimo. È quando sono più di due che secondo me non puoi forzare.

Come nel tennis, così anche il calcio moderno tutto sembra basato su forza fisica e corsa. Tutto sulla resistenza. Ci si aspettano colpi vincenti, diventa tutto più noioso

Ormai si va in questa direzione e su questa strada anche nelle scelte dei ragazzi giovani. Io dovrei dire che bisognerebbe fare un passo indietro, con ragazzi che abbiano una buona conoscenza tecnica. Se sei piccolo ma sei straordinariamente veloce e tecnicamente forte. Insomma, puoi vincere anche con una squadra di piccoli 

Pochi talenti nel calcio italiano, è colpa solo degli stranieri? La Nazionale annaspa non per colpa dei CT, che si prendono sempre le colpe 

Come disse benissimo Trapattoni, il commissario tecnico “è un condannato a morte ma non sa quando dovrà morire”. Questo è quel che succede. La domanda in sé è interessante. Credo che dovremmo un po’ rivedere i nostri famosi settori giovanili. Per anni abbiamo sfornato giocatori interessanti – soprattutto molto tecnici – in diverse zone del campo, ma ormai da mesi ripeto lo stesso dato, ovvero che negli ultimi 10 anni la classifica dei giocatori più bravi a dribblare sia stata composta solamente da calciatori stranieri. Adesso sta uscendo Chiesa, che sta velocemente arrivando nelle posizioni più alte, ma è uno solo. Vuol dire per prima cosa che hanno lavorato bene, senza che il ragazzo perdesse qualità tecnica, e poi che anche lui ci ha creduto sempre. A volte può capitare che anche noi allenatori possiamo soffocare inconsciamente la crescita di un talento.

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Nel campionato Primavera si vedono in media squadre con 7/11 stranieri, anche nelle grandi squadre. Non qui a Genova. Non si potrebbe mettere un freno? 

Non so a livello giuridico e burocratico se si possa fare. Finora non è stato fatto perché probabilmente i presidenti hanno questa volontà. L’unica proposta che possiamo fare è quella per cui un ragazzo che abbia lavorato per cinque anni con noi possa diventare a tutti gli effetti un italiano. Altrimenti noi lavoriamo per le altre nazionali.

Qual è la differenza tra commissario tecnico e allenatore?

Sono due mondi completamente diversi. Il commissario tecnico è un selezionatore, che ha poco tempo durante la stagione, nel suo percorso, per poter lavorare come allenatore. La fortuna di un CT è quella di trovare i famosi blocchi, due o tre che giochino nelle stesse squadre e ai quali chiedi due cose che sappiano già fare perché si allenano ripetutamente insieme. Già nel momento in cui arrivano e mettono la casacca, tu gli chiedi due cose e loro le sanno già fare. Chiamando tanti giocatori da altre squadre, invece, arrivano con situazioni e conoscenze diverse, conoscenze che non tutti sviluppano allo stesso modo. Non tutti, ad esempio, difendono allo stesso modo. 

Lei è favorevole alle seconde squadre? 

In linea di massima si. Personalmente avrei preferito una seconda squadra che giocasse il lunedì, così da avere il modo – visto che abbiamo una rosa di 25 o 26 giocatori – che chi non giochi la domenica possa farlo il giorno dopo e poi trovarlo già allenato per la domenica successiva. Dipende da che obiettivo abbia questa cosa.

Come marca i difetti degli avversari?

Settimanalmente. Il giorno dopo la partita non è un giorno di riposo bensì un giorno in cui andiamo a rivedere la partita con i collaboratori, estrapoliamo 5 o 6 situazioni in cui abbiamo fatto bene ed altrettante in cui non abbiamo fatto bene. Poi al martedì c’è sempre un confronto con i giocatori, perché il parlare tante volte si perde: se tu parli e vedi i giocatori ascoltano, vedono, capiscono meglio e si possono correggere determinate situazioni. Devono assolutamente partecipare, è il loro lavoro e non dobbiamo nascondere niente. Se io avessi delle conoscenze e non le trasmettessi non servirei più a nulla. Si, è vero, tante volte i giocatori rimangono un po’ sorpresi e tante volte chiedono il perché, allora si va ad analizzare questi dettagli. Poi si va in campo e si provano in prima persona. Così facciamo per gli avversari, di cui andiamo a vedere le partite. Un osservatore va a vederle e viene un giorno a settimana da noi con una relazione e qualche video, da cui cerchiamo di intuire quali siano i punti deboli e quelli forti. Da lì prepariamo la partita. 


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Il calcio secondo Prandelli: prima parte – VIDEO

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