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Buon Calcio a Tutti

Serie A, l’analisi di Paolo Barbero: “In Italia facciamo fatica a lanciare nuovi talenti”

Paolo Barbero, membro dell’AIAC e componente dell’area preparatori, nonché volto noto della storia recente del Genoa, dove ha lavorato oltre quindici anni, dal 2004 al 2019 (poi le esperienze con Verona, Torino e Roma al fianco di mister Juric), è un volto noto della storia recente della preparazione atletica del Genoa. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare che cosa ci abbia raccontato la Serie A appena conclusa dal punto di vista fisico. Come sempre, gli spunti sono estremamente interessanti.

Professor Barbero, con lei non parleremo di tecnica e di tattica, ma di preparazione fisica. Com’è stato il campionato appena finito da questo punto di vista, quali lei novità?

“La prima grande novità è l’intensità. Il nostro campionato di Serie A rispetto agli altri campionati maggiori di Premier e Liga ha una diversità di intensità, quella he noi percepiamo prevalentemente di tipo atletico in Premier o prevalentemente di tipo tecnico nella Liga, però la diversità è chiara, evidente e balza agli occhi di tutti. Non sono solo i risultati a dircelo, ma è proprio il modo di interpretare il calcio dei ragazzi di questo millennio, di tutti i ragazzi nati nel 2003, 2004, 2005.

In Italia facciamo fatica a lanciare questi nuovi talenti, le nuove generazioni, però nel resto d’Europa ormai è chiarissimo. Loro hanno portato un atletismo e una tecnica differente. Nel nostro campionato, purtroppo, l’aspetto tattico ci porta a rallentare il gioco e questo è uno dei grandi limiti. Il secondo grande limite è che i motori della maggioranza dei nostri calciatori non sono al livello dei motori dei calciatori della Premier e questo abbassa sicuramente l’intensità. Per concludere, vorrei fare una riflessione su Chiesa. Chiesa in Italia è sempre stato un grande giocatore, è un grande giocatore, un crack, faceva la differenza. Noi ci abbiamo giocato un sacco di volte contro. Anche a Torino, il suo ingresso in più occasioni ha cambiato l’andamento sia dal punto di vista atletico che tecnico. È andato in Premier e Slot, l’allenatore del Liverpool, ha detto che lui non può giocare in Premier perché lui non regge l’intensità dei nostri allenamenti e delle nostre partite. Mi sembra che qui ci sia la sintesi di questo anno di campionato”.

Neanche i cinque cambi hanno risolto allora questo problema, perché i cinque cambi sono il 50% di una squadra?

“Allora, i cinque cambi sono un evento altamente positivo dal mio punto di vista, ma vanno allenati. Oggi non si può più pensare di utilizzare una sostituzione come si utilizzava una volta. Oggi le quattro sostituzioni vanno allenate. Va preparata un’altra partita nella partita. Tanti non lo fanno in questo momento. Sicuramente ci sono alcuni club che hanno la possibilità di avere sostituti all’altezza dei titolari, ma la maggioranza dei club dall’ottavo posto in avanti non ha questa possibilità. Pertanto, tante volte l’ingresso delle cosiddette “riserve”, di coloro che arrivano dalla panchina, non alza il livello di prestazione, anzi talvolta lo abbassa. Secondo me il primo passo da fare è allenare queste situazioni, cioè durante la settimana provare già a mettere insieme nuovi ragazzi per vedere se la performance migliora in determinate situazioni”.

Stiamo uscendo da un’altra “bacata” per il calcio italiano. Il 5-0 subito dall’Inter è arrivato solamente per gamba oppure perché i francesi erano più organizzati e sembrava che tutti giocassero uno per uno e uno per tutti? Non si è capito veramente la partita di Champions, in che canale l’ha persa. Che l’abbia persa solamente per gamba e che non abbia preso le contromisure, tatticamente, con le marcature ad uomo, sembra quasi paradossale. Andavano al doppio…

“Io non penso che sia un problema solo fisico, non è un problema solo tattico. Penso che dietro al successo del PSG ci sia una nuova impostazione, un nuovo modello di preparazione settimanale della squadra. Innanzitutto di scelta dei calciatori è facile fare questa riflessione. Loro hanno un budget disponibile che in Italia nessuno si può permettere, anzi nessuno lo può sognare. Però l’impostazione settimanale di questi grandi club è completamente diversa dal metodo tradizionale italiano. È un’impostazione più globale in cui, però, c’è tanto posto per il recupero, non solo fisico ma soprattutto mentale. Queste squadre che giocano più di 60 partite hanno bisogno di recuperare, sviluppano una fatica che chiamiamo “fatica invisibile”, che è una fatica che non si può monitorare con il GPS o con analisi di tipo medico. È una fatica proprio di tipo mentale, di attenzione cognitiva, e questo tipo di fatica va recuperata settimana dopo settimana. L’Inter mi sembrava un po’ vuota”.

Tutti si lamentano degli infortuni, specialmente in questo campionato ne sono successi veramente tanti studi. Lei studia questo calcio professore, lo dimostra quando fa i suoi convegni, quando fa le sue relazioni. Ma tutti questi infortuni a che cosa sono dovuti se dopo non c’è questa carica durante gli allenamenti? Perché?

“Ci sono tre fattori da prendere in considerazione e sono l’età anagrafica del calciatore, gli infortuni precedenti e il numero di partite giocate. Ci sono delle indagini ormai molto, molto statistiche e molto chiare, se tu giochi fino a 40 partite il fattore numero partite non incide quasi niente, incide per il 12%. Nel momento in cui superi le 40 partite e ti avvicini alle 60, il fattore di rischio arriva e supera il 30%. La Premier League, la FA Cup e la Coppa Nazionale di Lega che portano a giocare quasi più di 50 partite ai club che non fanno le coppe europee lo dimostrano. La Premier League è il campionato dove ci sono più infortuni.

Il secondo punto – e faccio riferimento a ciò che abbiamo vissuto qua a Genova – è il fatto che chi si è infortunato precedentemente e ha un’età anagrafica più alta è più facile che si infortuni di nuovo. Pertanto, io penso che al primo posto in questo momento, compito dei direttori sportivi, ci sia la scelta dei calciatori. Scegliere calciatori che hanno giocato almeno 2.500-3.000 minuti l’anno prima, che non hanno avuto infortuni o ne hanno avuto uno solo, è uno già dei fattori che ti permette di poter vivere abbastanza serenamente la stagione successiva”.

Professore, oggi la notizia – che non è ufficiale perché è uscita su un quotidiano, non da parte della società – è che il professor Pilati abbandonerà il Genoa assieme al figlio del professor Gatto. Pilati e il professor Barbero hanno dato tanto a questo Genoa per tanti anni, dopo il professor Barbero ha scelto altre strade per andarsi a misurare in altre piazze. Perché? Cosa succede? Ci sarà un altro preparatore di Vieira?

“Sono molto sincero. Io devo tantissimo al professor Pilati perché con lui e da lui ho imparato molto. Con lui ho vissuto più di dieci anni storici per la storia moderna del Genoa. Non lo penso solo io, ma il movimento italiano dei preparatori atletici pensa che il professor Pilati sia uno dei tre elementi più importanti in questo momento del panorama italiano. Lui ha creato un metodo di lavoro all’interno del club, del Genoa: mi auguro che questo metodo che ha portato tanti risultati, sia dal punto di vista delle plusvalenze, sia dal punto di vista delle prestazioni, possa continuare. Non ho altro da dire se non mandare un grande in bocca al lupo ad Alessandro e anche a Filippo – perché Filippo Gatto ha lavorato con lui in questi ultimi anni da quando io sono andato via – e mi auguro però sinceramente e profondamente che il Genoa non disperda questo patrimonio culturale di impostazione metodologica che il professor Pilati vent’anni fa ha iniziato”.


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