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Genoa-Venezia, torna a parlare Stefano Palazzi – AUDIO

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Una giornata che avrebbe dovuto brindare alla fine di un corso incentrato sulla riforma della Giustizia Sportiva, tenuto presso l’Ordine degli Avvocati di Genova, si è trasformata in un momento di dejavù quando ha preso la parola Stefano Palazzi, ex membro della Procura Federale (non lo è più dall’anno 2016 essendo divenuto Presidente della II sezione della corte federale d’appello, ndr) ai tempi di Genoa-Venezia, gara che condannò per la nota vicenda della valigetta il Genoa e i suoi tifosi alla Serie C. In particolare, durante l’incontro di questo pomeriggio in via XII Ottobre, Palazzi è stato incalzato sul tema delle intercettazioni telefoniche e sul dibattuto domandarsi se, a differenza che nell’ambito penale, sia corretto o meno utilizzarle in un’indagine sportiva.

Mi appassiono di diritto sportivo dal 1990, e posso dire che ci sono stati dei progressi nell’ambito delle questioni trattate nei procedimenti disciplinari sportivi che non hanno pari in nessun altro campo del diritto. Gli avvocati, con le eccezioni che sollevano, hanno contribuito a migliorare il sistema.

All’epoca non ero procuratore federale, ma l’attuale procuratore della Procura mi chiese di sostenere l’accusa in questo procedimento. Procedimento in cui ebbi l’onore di confrontarmi col procuratore Coppi e l’avvocato Biondi. Come era accaduto in un caso precedente che aveva riguardato due giocatori di Sampdoria e Modena, in quel caso difesi dall’avvocato Buongiorno, che sollevò la non utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in maniera differente da come lo sollevò il procuratore Coppi, nel procedimento Genoa-Venezia venne sollevata la questione in merito al fatto che ci fosse il divieto di utilizzo delle intercettazioni in un altro processo. Io, come sostenitore dell’accusa, ebbi a contraddire sotto un duplice profilo: uno atteneva la successione delle norme nel tempo; l’altro – poi confortato dalla Cassazione – che il divieto si riteneva operante soltanto per altri procedimenti penali, ma non per quelli di tipologia differente, ossia disciplinari. 

Tengo a precisare anche un altro aspetto. Molto spesso in sede disciplinare, quando avevamo la possibilità di utilizzare le intercettazioni (oggi ormai abbiamo la discovery e non c’è segreto istruttorio), il nostro ufficio le contestava e ne metteva a conoscenza i soggetti. E il più delle volte i soggetti le riconoscevano in punto di fatto. C’era quindi un ingresso delle intercettazioni sotto altro aspetto, una sorta di confessione. C’era dunque una possibilità autonoma di utilizzazione delle intercettazioni. 

Tante volte si può arrivare all’assoluzione in sede penale (come in Genoa-Venezia) dal momento che, magari, la Cassazione ritiene inutilizzabili le intercettazioni telefoniche e lo fa perché, malgrado fossero state disposte in quanto  inizialmente si era ipotizzata un’associazione a delinquere, successivamente c’era stata un’archiviazione. Ma questo limite di utilizzo in sede disciplinare non vale. Sia perché in assoluto non vale, sia perché le intercettazioni erano state in parte riconosciute dai nostri soggetti tesserati, trovando una via d’accesso autonoma. 

Ci fosse stata un’assoluzione in quel caso – come in tutti gli altri casi – fondata su una non utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, ho delle perplessità a pensare che questa soluzione si sarebbe potuta trasferire in modo automatico, senza possibili valutazioni autonome, in sede disciplinare. È un rischio, perché così si potrebbe esporre la Federazione a un risarcimento del danno.  

A questo punto l’unico rimedio, per quanto paradossale, sarebbe attendere prima l’esito della giudizio penale rispetto a quello sportivo. Se no tu dovresti sapere se quel materiale e quel fatto hanno portato alla condanna. Non è possibile ovviamente perché le eventuali condanne arriverebbero per le persone fisiche a fine carriera, per le società sportive a distanza di decenni”.


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