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Meno tasse sul calciomercato dall’estero: quando calcio e decreti vanno a braccetto

Decreto Crescita e calciomercato vanno a braccetto e i club di Serie A potranno avere agevolazioni fiscali nell’acquistare calciatori dall’estero, che siano essi italiani o stranieri.  Tutto nasce dalla volontà dell’attuale Governo, che ha ereditato l’idea da quello immediatamente precedente, di richiamare in Italia i lavoratori espatriati – o stranieri – offrendo loro agevolazioni fiscali. In altre parole: meno tasse da pagare se vieni o torni a lavorare in Italia.

Se fino allo scorso giugno un lavoratore con alte competenze professionali che fosse tornato in Italia avrebbe giovato di una tassazione Irpef sul 70% del proprio reddito di lavoro dipendente, oggi questa percentuale si è ulteriormente abbassata al 30%. Su 100 euro di reddito, ne vengono tassati 30.

Queste misure sono assai meno circostanziate oggi rispetto alle misure varate dall’ultimo governo di centrosinistra ed è così che nell’insieme dei lavoratori professionisti sono finiti per rientrare anche i calciatori. O, per meglio dire, gli sportivi professionisti in generale.

Una deroga al Decreto Crescita ha fatto sì che la percentuale di tassazione sul reddito di lavoro dipendente di uno sportivo professionista salisse dal 30% al 50%, ma resta comunque uno sgravio fiscale di non poco conto per le società sportive. Acquisendo calciatori che abbiano avuto un contratto di almeno due anni all’estero, la situazione è sostanzialmente differente e calano le spese a carico delle società.

Se prima, su un contratto da 10 milioni netti all’anno, una società pagava un’aliquota del 43% sull’intero importo (10 milioni, ndr), col Decreto Crescita tradotto in legge lo scorso 9 luglio paga la stessa percentuale di tasse, ma sul 50%, ovvero su 5 milioni di euro. Si passa, quindi, da 4,3 a 2,2 milioni di euro. E questo abbassamento dell’imponibile (percentuale del reddito su cui si impone una tassazione) può durare sino a cinque anni se il lavoratore professionista rimane sotto contratto per almeno due anni in Italia. Una soglia che potrebbe diventare indicativa nelle prossime stagioni: superandola senza cedere un determinato calciatore, ci si potrebbero assicurare altri tre anni di benefici fiscali.

Tanto per fare un calcolo approssimativo, se compro un calciatore dall’estero e gli offro un contratto quinquennale ad un milione di euro netto all’anno, in regime di Decreto Crescita mi costerà all’incirca 1,2 milioni di euro a stagione e 6 milioni in cinque anni. Prima dell’emanazione del medesimo decreto, mi sarebbe costato 7,2 milioni di euro (1,4 all’anno). E va da sé che su contratti più alti di quello preso ad esempio, il risparmio diventa ancora maggiore.

Ed è proprio qui che nasce la vera domanda: da vantaggio finanziario potrebbe presto trasformarsi in uno svantaggio, specialmente se si finirà per abusarne?

Più che di svantaggi, parlerei di possibili difficoltà nel manterere appetibile la venuta in Italia dei campioni, una volta che il periodo di sgravi sarà esaurito spiegava circa un mese fa a CalcioFinanza l’avvocato Carlo Rombolà, docente LUISS e membro della commissione di Diritto Sportivo dell’Ordine degli Avvocati di Roma, rispondendo alla medesima domanda. Bisognerà trovare un equilibrio fra gli incentivi fiscali e le legittime esigenze dell’Erario.

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