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“Presidenti”, il libro di Adam Smulevich che racconta il calcio dei pionieri in guerra col razzismo

L’effetto delle Leggi Razziali sul mondo del calcio fu a dir poco devastante“. Incomincia così il libro “Presidenti” scritto da Adam Smulevich, giornalista professionista che questo pomeriggio ha presentato il suo manoscritto nella chiesa sconsacrata di Piazza Sarzano, adibita ad Aula Magna. Lo ha fatto alla presenza della Comunità Ebraica, rappresentata dal Rabbino Capo di Genova Giuseppe Momigliano, e di Paolo Giampieri, caporedattore dello Sport de “Il Secolo XIX“. Ospiti d’eccezione i tecnici di Genoa e Sampdoria, Davide Ballardini e Marco Giampaolo. Conferenza aperta e chiusa dalle parole di Angiolo Chicco Veroli, vicepresidente della Comunità Ebraica genovese.

Questo libro ha due grandi meriti – spiega in apertura Paolo Giampieriovvero sia  quello di mantenere viva la memoria di una pagina orrenda della nostra storia e quello di aver raccontato le storie di tre presidenti di società che erano sconosciute. O quasi sconosciute, almeno per me”.

Questo libro nasce per la passione che mi accomuna a milioni di persone di questo paese: quella del calcio” – prosegue quindi l’autore del libro, Adam Smulevich. “Credo che un valore, quello della memoria, possa essere raccontato. Ho scelto tre personaggi ma potevano esservene anche altri: tre figure che in fase pionieristica diedero un contributo davvero significativo”. Si tratta degli ex massimi dirigenti di Casale (Raffaele Jaffe), Roma (Renato Sacerdote) e Napoli (Giorgio Ascarelli), vittime della persecuzione favorita dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia datata 18 settembre 1938. E proprio dal primo, Jaffe, che alimentò la rivincita di Casale sulla Pro Vercelli, prende copro l’intervento dei due tecnici rossoblucerchiati.

Se mi prendo il Casale o la Pro Vercelli? Se la Pro Vercelli fa possesso palla, è come la Sampdoria – esordisce ironicamente Ballardini, tecnico del Genoa, che cominica a raccontare che significato abbiano per lui il calcio dei pionieri e quella grande simbologia che era la maglia, coi suoi colori e la sua unicità. “I calciatori di un tempo non potevano neanche regalare la maglia: era veramente un pezzo di grande valore. Il sapore della maglia di qualche anno fa non è quello di oggi. Oggi è tutto un po’ più insipido. Dobbiamo fare sì che i gesti, la maglia, abbiano sempre un sapore quantomeno vero: fatto di cose buone, profondità, atteggiamento. Ci spetta far riflettere e dare un peso a maglia e colori che indossi: i giocatori devono piacevolmente sentire la responsabilità della maglia che indossano. Parlo del Genoa, che è la società più antica d’Italia”.

La maglia è ciò in cui ti riconosci: tu che giochi e il tifoso – prosegue Giampaolo, che sottolinea come “la capacità di calciatore e allenatore deve essere quella di avere la forza di rappresentare quei colori. Cercare di essere un tutt’uno coi colori di quel club”. Successivamente il dibattito, prima di chiudersi coi saluti ed i ringraziamenti, si sposta sulla tematica del razzismo. “Personalmente non ho mai assistito ad episodi di razzismo: ma so che i valori forti dello port sono quelli di unire, associare” spiega il tecnico della Sampdoria. “Mio padre mi diceva: “vai a giocare a pallone coi tuoi coetanei perché stai all’aria aperta e impari a stare con gli altri”. In questo senso lo sport deve essere educativo. Chi vive di sport non nutre nessun tipo di visione e se sta dentro gli ambienti sportivi non respira queste differenze: che poi non sono differenze”.

Rincara la dose il tecnico del Genoa, sostenendo che “oggi il nostro problema è la poca memoria e la nostra reputazione non conta più nulla. Se si fanno degli errori è importante provare vergogna e magari da lì in avanti diventare un esempio. Se è giusto sospendere le partite di calcio in caso di episodi di razzismo? Certamente sì. Bisogna che educhiamo chi ha paura del niente e diventa pericoloso. Se mi è capitato qualche episodio in cui mi sono sentito esposto? Mi è capitato in Serie C di allenare la Sambenedettese con un pubblico molto appassionato: ma il parlare, il guardarsi negli occhi fa sì che i tifosi vedano che sei una persona per bene e le distanze diminuiscono. Tante volte il confronto risolve tanti piccoli problemi ed ogni volta che c’è stato è servito, peraltro senza mai andare oltre”.

LA TRAMA DEL LIBRO “PRESIDENTI” (tratta dal retro del libro) – Ex massimi dirigenti di Casale (Raffaele Jaffe), Roma (Renato Sacerdote) e Napoli (Giorgio Ascarelli), vittime della persecuzione favorita dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia (18 settembre 1938). L’effetto delle leggi razziali sul mondo del calcio fu a dir poco devastante. Si tratta di un capitolo poco approfondito e invece ricco di spunti per comprendere la portata di quell’infamia a un livello più ampio. In vita o in memoria, alcuni tra i principali protagonisti di quegli anni furono privati dei loro incarichi e messi in un angolo. Ebrei orgogliosi di esserlo, ebrei sull’orlo dell’assimilazione, ebrei d’origine ma ormai cattolici da tempo. Non fu fatta distinzione, tutti finirono nel tritacarne (mediatico e non solo). In vista dell’ottantesimo anniversario delle Leggi della vergogna, annunciate da Mussolini in piazza Unità d’Italia a Trieste il 18 settembre del 1938, questo libro si propone di gettare nuova luce su tre figure particolarmente significative: Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli, Renato Sacerdoti. I loro destini seguono traiettorie diverse, eppure possono essere compresi in una comune narrazione.

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